La rivoluzione egiziana non è (solo) un blog di Internet
storia si fa nelle strade, non su Internet”
Ghonim,
della pagina Facebook “Siamo tutti Khaled Said,”
da Time, “persona più influente del 2011”)
delle chiavi interpretative dei 18 giorni di Tahrir è stata la
“rivoluzione via Internet”. In effetti Internet ha creato spazi
virtuali di incontro in cui l’anonimato ha rafforzato il senso di
protezione e ha permesso il superamento della paura, fino a quel
momento categoria chiave.
canto suo il regime abituato ad esercitare una ferrea censura sulla
sceneggiatura di film e pièces teatrali e un controllo pervasivo
sui media non ha capito i meccanismi e le possibilità di
circolazione della parola e di connessione in una rete. Celebre la
definizione sprezzante di Gamal Mubarak sugli internauti come “amebe
bloccate davanti al loro schermo che non sarebbero mai usciti dalle
stanze in cui erano rintanati”.
Internet è stato così semplicemente ignorato fino a quando Ibrahim
al-Masry ha postato l’intervento “la mia arma è la mia macchina
fotografica” pubblicando, dopo gli scontri seguiti alla bomba fuori
la chiesa Al Qiddisayn ad Alessandria, un video di un soldato che
colpisce un manifestante inerme e sanguinante sopra le dichiarazioni
del ministero degli Interni che negava vi fossero scontri e feriti.
Ma gli stessi blogger riconoscono che tutto questo non basta: sulla
pagina “Siamo tutti Khaled Said” sono numerosissimi i post che
identificano il 25 gennaio come il giorno in cui organizzarsi e
alzare la voce nel mondo reale in mezzo agli egiziani; per questo
viene chiesto di fare un passaparola tramite gli sms perché “non è
possibile raggiungere la classe operaia egiziana via internet o
Facebook. Tutti sottolineano dunque come il vero punto di svolta sia
scendere nelle strade per rivendicare i diritti: lo stesso Ghonim
dichiara “l’energia
si è trasferita dal mondo virtuale a quello reale il motore della
presa di coscienza e il fulcro di tutte le decisioni è diventata
piazza Tahrir e la rete d’ora in poi servirà solo a commentare”
regime ancora una volta si affida alla vecchia strategia di
cooptazione dei media di regime ormai logora e questa volta i
risultati sono tragicomici: il 15 gennaio, giorno della fuga di Ben
Ali dalla Tunisia (e mentre gli egiziani iniziano a cantare “O’balna
O’balna” “Speriamo di essere i prossimi”) uno dei maggiori
quotidiani titolava “Crescita vertiginosa dell’Egitto! Mubarak
porta il Paese ai livelli più alti mai conseguiti in materia di
sicurezza economica”; il 25 gennaio, i canali televisivi egiziani
dedicano l’intera giornata alla celebrazione del giornata della
polizia alternandola a video musicali; ed il 9 febbraio Suleiman
ordina ai manifestanti: “andate a lavorare, smettetela di
spaventare i turisti tornate alle vostre vite, salvate l’economia
del paese” parlando di una congiura di non meglio specificate
“forze occulte manipolatrici”.
per questo ruolo e per il fatto che anche al Cairo, ma soprattutto
nel resto dell’Egitto pochi hanno accesso a Internet si sono
sviluppati movimenti come i kaddabun e i mosireen
http://www.indiegogo.com/Mosireen
che sostengono il citizen journalism e montano piccoli cinema
all’aperto per mostrare video che ancor oggi la tv di stato non
mostra. Questi due movimenti sono nati in seguito al brutale
pestaggio di una ragazza che rimane seminuda sul selciato della
piazza da parte dell’esercito:
il video è un po’ forte)
rete con una dedica in arabo
المغيبين اللذين يعتقدون ان الجيش و الشعب
ايد واحده ….
هؤلاء هم خير جنود الارض ؟!؟
chi non c’era e crede che l’esercito e il popolo siano una mano
sola
della terra?!?”
perché ha squarciato il velo sulla “politica strategica” che vi
era dietro le molestie a Tahrir: servivano a spaventare le donne e
tenerle in casa e nello stesso tempo a screditare i rivoluzionari
facendo il gioco di Mubarak “O io o il caos”. In questo senso si
può leggere l’affermazione di El Hamalawy uno dei blogger più
influenti, secondo cui “la rivoluzione non sarà twitterata”: la
rete è stata e continua ad essere il supporto della piazza; supporto
non sostituto.
seguire anche perché è uno specchio dei problemi degli egiziani e
sta cambiando forma: non solo le bugie dei militari, ma anche i
diritti umani, la crisi economica, l’istruzione … aspetti che
toccano la vita di tutti i giorni e che sono quelli che interessano
davvero agli egiziani…ma spesso fuori dall’agenda politica come
dimostra questa vignetta:
sezione Tahrir Square