Italiani d’ altrove: parole di poeti che scrivono in altre lingue, ma continuano a sentire in italiano, Rayuela edizioni
cittadinanza, che vivono in due Paesi diversi, ma per molti aspetti,
simili. Si parla, in questo caso, di Italia e Argentina (o Uruguay)
perchè il libro intitolato Italiani d’altrove. Parole di poeti
che scrivono in altre lingue, ma continuano a sentire in italiano
– per Rayuela edizioni – raccoglie liriche di autori argentini,
di origine italiana: tutti i loro cognomi, infatti, sono italiani.
tradotti) da Milton Fernandez, attore-scrittore-drammaturgo
uruguayano e direttore artistico del Festival della Letteratura di
Milano, il quale ha ascoltato le parole di queste persone che si sono
trasferite in Argentina e che scrivono in spagnolo e ha deciso di
restituire ai lettori le loro emozioni, i loro pensieri, i loro
ricordi. Sì, perchè questi emigranti continuano a sentire e a
pensare in italiano per quella sorta di “meccanismo della
nostalgia”, così complesso, che molti si portano dentro.
popolata da tantissimi italiani e i suoi quartieri ricreano una mappa
dell’Italia, riproducendone anche l’architettura delle città: c’è
il quartiere genovese (la Boca), quello calabrese, quello friulano in
cui si parla con gli accenti di quelle zone. E lì si avverte
un senso di appartenenza, sia alla cultura argentina sia a quella
italiana.
l’antologia non sono mai stati in Italia, ma ne hanno un’idea, che è
quella riportata dai loro genitori o dai loro nonni: ma i ricordi,
spesso, con il tempo, sbiadiscono o si trasformano. I migranti,
infatti, come sostiene Milton Fernandez “sono portatori sani di
Paesi immaginari” ed ecco, quindi, che i luoghi raccontati sono
quelli tramandati da altri, magari sono Paesi che non esistono
neanche più, ma rimangono in vita nell’immaginazione o nella memoria
e questo aiuta a spiegare l’etimologia della parola “nostalgia”
che è: “il dolore del ritorno”, quella malinconia che accompagna
tutti i migranti quando sono lontani, e quella delusione che li tocca
quando scoprono una realtà diversa da quella immaginata o ricordata.
Ma è un dolore che si impara a gestire se lo si fa diventare
ricchezza interiore.
presentata il 2 febbraio 2013 alla Casa delle Culture del mondo di
Milano. Ci piace anche ricordare perchè è stato scelto, come nome
della casa editrice, quello di “Rayuela”:
si gioca con un sassolino che bisogna spingere con la punta della
scarpa. Ingredienti: un marciapiede, un sassolino e un bel disegno
fatto col gessetto, preferibilmente a colori. In alto sta il cielo,
sotto sta la terra, è molto difficile arrivare con il sassolino al
cielo, quasi sempre si fanno male i calcoli e il sassolino esce dal
disegno. Poco a poco, nonostante tutto, si comincia ad acquisire la
necessaria abilità per salvare le diverse caselle, (Rayuela
chiocciola, Rayuela rettangolare, Rayuela fantasia, poco usata) e un
giorno si impara a uscire dalla terra e a far risalire il sassolino
fino al cielo, fino a entrare nel cielo (…), il brutto è che
proprio a quel punto, quando quasi nessuno ha ancora imparato a far
salire il sassolino fino al cielo, finisce di colpo l’infanzia e si
casca nei romanzi, nell’angoscia da due soldi, nella speculazione di
un altro cielo al quale bisogna comunque imparare ad arrivare. E
siccome si è usciti dall’infanzia…ci si dimentica che per arrivare
al cielo si ha bisogno di questi ingredienti, un sassolino e la punta
di una scarpa”. Julio Cortàzar