I disorientati: l’ultimo romanzo di Amin Maalouf
e finzione; Passato e Presente; Oriente e Occidente; vita e morte;
storia individuale e riflessione universale: tutto questo ne I
disorientati, l’ultimo
lavoro editoriale di Amin Maalouf, pubblicato da Bompiani.
Libano non viene mai chiamato così, ma si parla, nel testo, di
“Levante”, e dal Levante prende l’avvio la storia di Adam,
fuggito dalla guerra e ora insegnante di Storia a Parigi.
All’annuncio della morte dell’ex amico Mourad, Adam è costretto a
ritornare nel proprio Paese d’origine dove tutto è rimasto uguale e
dove il tempo sembra essersi fermato. Sembra: è rimasto, forse, il
Circolo dei Bizantini, quel gruppo di ragazzi che voleva cambiare il
mondo, ma a cambiare sono stati proprio loro. Il conflitto li ha
separati e spinti verso strade diverse; c’è chi è andato
all’estero, chi è rimasto in patria, imbrigliato nelle maglie
corrotte della politica e chi ha deciso di partecipare alla guerra
civile. Adam cerca di radunare i sopravvissuti: emergono, così, i
rancori sopiti e le verità non dette, ma il confronto, sincero anche
se difficile, cambierà il presente del protagonista.
Maalouf è uno scrittore libanese, illuminista arabo che, nel 2011,
ha ricevuto la spada di Accademico sulla cui lama ha fatto incidere i
simboli della sua doppia identità: la Marianna della Rèpublique e
il cedro del Libano. Quel riconoscimento è stato, per lo scrittore,
importantissimo perchè ha sancito il suo ingresso nell’istituzione
fondata dal cardinal Richelieu per codificare e salvaguardare la
lingua francese. Libanese e francese, mediorientale ed europeo: Adam
è l’alter ego di Maalouf che, narrando la propria vicenda in prima
persona, riporta il clima intellettuale della giovinezza dell’autore,
le sue aspirazioni e le speranze dei suoi coetanei in un momento di
grande fervento storico e politico. Ma la guerra, durata dal 1975 al
1990, ha distrutto ogni possibilità di cambiamento. In un’intervista
a Famiglia
Cristiana,
Maalouf racconta: “ La guerra è iniziata il 13 aprile del 1975,
di domenica, con due massacri. Uno, la sparatoria contro l’autobus
dei militari palestinesi in un quartiere di Beirut, è avvenuto sotto
la finestra di casa mia, a trenta metri. Ero un giornalista appena
tornato dal Vietnam, ma ricordo con terrore quella decina di secondi,
appoggiato al muro per proteggermi, che causarono oltre venti morti.
Non volevo far crescere i miei figli in un posto dove, a 14 anni, si
può prendere il fucile per ammazzare una persona”. Infatti, lo
scrittore, allo scoppio della guerra, scappa dal Libano e ora vive a
Parigi. Ma per circa una trentina d’anni non ha voluto parlare o
scrivere della propria esperienza e fare i conti con la Memoria
individuale. Lo fa ora, con questo romanzo. Perchè adesso è in
grado di affrontare il senso di colpa causato dal fatto di essere
andato via, di aver scelto la strada più facile. Ritornano, nel
libro, i temi a lui più cari: l’esilio, appunto, l’incontro tra due
culture differenti, il confronto religioso, la ricerca della propria
identità. Ma, in questo suo ultimo lavoro, lo scrittore aggiunge un
argomento importante: dalla cultura greca classica, dall’Occidente,
riprende la riflessione sul “nostos”, sul ritorno. Il ritorno
alle proprie radici, alla propria Terra, per guardarsi in faccia e
ammettere che, forse, anche lui stesso è un dis-orientato.
Amin Maalouf |