Iraq dieci anni dopo
Silvia Battaglia lavora per la redazione esteri del
quotidiano Avvenire.
Come freelance collabora
con il settimanale Terre
di Mezzo, con
l’agenzia Redattore
Sociale,
con i network radiofonici Radio
Popolare e Radio
In Blu,
e con RAI
News. È caporedattore del sito www.assaman.info,
rivolto ai migranti senegalesi. Da alcuni anni si dedica al reportage
in zone di confine e di conflitto etnico o religioso (Libano, Israele
e Palestina, Gaza, Afghanistan, Kosovo, Serbia), e cerca di
raccontare l’altro attraverso la scrittura, i suoni, le immagini.
Il suo ultimo documentario si intitola Unknown
Iraq:
Il
20 marzo 2003 gli Stati Uniti occupavano l’Iraq con l’operazione
militare “Iraqi Freedom”. Da allora sono passati dieci anni.
Dieci anni di guerra in
nome del terrorismo e della democrazia. Dieci anni di odio e di caos.
Oggi l’Iraq è il quinto Paese più corrotto al mondo ed è il più
corrotto in assoluto in Medio Oriente.
documentario andrà in onda questa sera, sabato 27 aprile 2013, alle
00.45 per “Agenda del Mondo”, TG3.
rivolto alcune domande a Laura Silvia Battaglia
si è recata in Iraq e come si è mossa all’interno del Paese?
recata in Iraq in tre riprese diverse prima su Baghdad, poi su
Bassora, poi sul Kurdistan iracheno e sempre via aerea. Questo per
superare sia i problemi di sicurezza legati ai viaggi di lunga
percorrenza su strada, sia per aggirare problemi di visto. Di fatto
l’Iraq non è più un unico Paese ma una federazione dove la mano
sinistra non sa quel che fa la destra. Un visto rilasciato da una
regione, da un governatorato del Sud, ad esempio, non può valere per
la capitale o per il Nord. Il Kurdistan, poi, è uno Stato nello
Stato. Per quanto riguarda i movimenti su strada, ci sono diverse
precauzioni di sicurezza da prendere. Baghdad certamente ha dei
livelli di pericolosità maggiori, a causa degli attacchi bomba
frequenti ma soprattutto a causa di possibili ceck points delle
milizie. Gli occidentali possono essere degli ottimi target per
rapimenti, riscatti, rappresaglie. Muoversi in taxi è decisamente
pericoloso. Però, se vivi con le persone del posto, se non alloggi
nella Green zone di Baghdad, se ti rechi al mercato come un cittadino
qualunque – nel mio caso il mio volto e il modo in cui mi abbiglio mi
aiutano nell’impresa – muoversi senza essere un target, nei limiti di
quello che anche il destino ha scelto per te, è possibile.
categorie di persone ha intervistato? Ad esempio, persone comuni,
artisti, intellettuali e qual è il sentimento comune a dieci anni
dal conflitto?
intervistato solo persone comuni, posto che ho parlato anche con
politici locali e con un ministro ma il loro punto di vista mi è
servito per comprendere altri livelli di ragionamento legati ad
interessi di parte, da parte appunto di chi governa. Ci sono due
sentimenti prevalenti: la disfatta e la revanche. La disfatta è
comune nelle persone che superano i 50 anni, unita alla convinzione
che mai, mai più, l’Iraq tornerà ad essere ciò che era stato prima
dei tempi di Saddam: un Paese modello di cultura e di sviluppo
nell’area del Mashreq con la migliore università del Medio Oriente.
Il secondo sentimento prevalente è la revanche, molto comune e
diffusa tra i giovani ventenni. Ragazzi a cui non è stato possibile
avere un’infanzia, una famiglia, un passato e che non possono
sopportare l’idea di non potersi giocare il futuro. Si battono per la
pace, per un lavoro, l’istruzione, la salute: tutti diritti garantiti
nella forma dalla costituzione ma nella sostanza ancora negati.
sta occupando della ricostruzione del Paese e in che modo?
Le cause di tutto questo vanno
ricercate in un binomio esplosivo: i 13 anni di sanzioni a cui il
Paese è stato sottoposto dalle Nazioni Unite, dopo l’invasione del
Kuwait, da una parte; dall’altra la più grande operazione di
state-building mai registrata prima, e in atto dal 2003. Un insieme
di azioni militari, umanitarie ed economiche che costa agli americani
65 miliardi di dollari l’anno e di cui usufruiscono esclusivamente le
élite al potere. Soldi che vengono settimanalmente volatilizzati
dentro la Banca Centrale Irachena in oscure operazioni all’estero.Tra
gli ultimi programmi di sviluppo, l’Unido
ha lanciato il Teirq10006, per lo sviluppo della zona industriale di
Baghdad. A questo progetto, che ha la benedizione di nove
rappresentanti del governo iracheno, tra cui il Ministro
dell’Industria e Minerali e 11 rappresentanti di organizzazioni
internazionali, partecipa l’Italia come Paese donatore. Obiettivo:
creare una Road Map industriale intorno a Baghdad che possa
rappresentare un modello per lo sviluppo di altre zone industriali in
tutto l’Iraq, da Bassora ad al-Anbar, passando per Erbil. Per rendere
operativo il progetto, Unido chiede una definizione necessaria dei
confini della zona industriale, un assetto giuridico che eviti gli
effetti di free-low zones, un controllo sul territorio nazionale e
non municipale, la privatizzazione sostanziale delle attività, la
razionalizzazione e l’assicurazione delle risorse primarie per l’area
industriale, specie acqua ed energia elettrica. In questo progetto
non si fa menzione delle necessità dei civili iracheni.
sarebbe importante attivare campagne per favorire l’istruzione dei
giovani e magari anche delle donne?
“sarebbe” importante ma “è” importante. Il punto
non è attivare le campagne, cosa che è già stata fatta. Il punto è
fare in modo che vengano promosse, accettate, spinte dai forum
sociali locali. Dopo questo passo, che ha tra le sue più importanti
sostenitrici donne, attiviste e sindacaliste del calibro di Hanaa
Edwar, coordinatrice dell’ong irachena Al Amal, è
necessario che il governo recepisca questo tipo di imput. Può un
governo che si dice democratico consentire ancora il delitto d’onore
o accettare, per tradizione, il matrimonio di minori intorno ai 12-13
anni d’età? E’ quello che succede ancora in alcune zone del Paese.
italiano dell’informazione si è un po’ dimenticato dell’Iraq e delle
conseguenze della guerra e della rivoluzione?
sugli esteri in Italia è una sconosciuta, oggi più che mai.
Probabilmente è colpa dell’assenza di una vera politica di Esteri,
dovuta al nostro passato poco o per nulla coloniale, a cui si agiunge
oggi la crisi dei media e del mercato editoriale. Eppure siamo un
Paese chiave nel Mediterraneo e gli italiani sono attori preziosi in
contesti di dialogo e mediazione. Riguardo all’Iraq, il fatto, ad
esempio, che in questi ultimi 4 giorni ci siano stati 200 morti in
scontri settari, e che non si sia nemmeno scritta una breve; o che
nell’agosto del 2012 siano state impiccate 21 persone in un solo,
stesso giorno senza un giusto processo e sia uscito solo un
trafiletto nelle ultime pagine di 3 quotidiani, continua a confermare
una triste verità: di Iraq non si parla perché l’Iraq è l’unica,
vera, grande riserva di petrolio a cielo aperto nel Medio Oriente e
perché sono molti i giacimenti ancora non sfruttati. Secondo il
ministro del Petrolio iracheno, infatti, nel 2014 la produzione
dovrebbe raggiungere quota 6,5 milioni di barili al giorno, più del
doppio della attuale cifra di 2,7. E le previsioni più ottimistiche
parlano di 12 milioni di barili per il 2017, quasi cinque volte la
produzione attuale come sostiene lo scenario energetico profilato per
il 2030 dalla British Petroleum. Perché dunque parlare (male) di un
Paese nel quale si continuano a fare affari d’oro?
anticipare chi è Usama Al – Samarai, che lei ha intervistato, e
commentare le sue parole?
Al Samarrai è il figlio di Ahmed Al Samarrai, il presidente del
Comitato Olimpico Nazionale Iracheno rapito a Baghdad il 15 luglio
del 2006 in un incontro pubblico, insieme ad altri 24 membri del
Comitato. Alcuni rapiti sono stati rilasciati dopo qualche tempo. Ma
Usama non ha mai più avuto notizie del padre. Nessuno, a distanza di
sette anni, sa se è vivo o morto.
Niran, la moglie
del presidente rapito, ha parlato dopo sei anni. Nel libro “A
homeland kidnapped” denuncia l’inefficienza del nuovo governo
iracheno, il silenzio della comunità internazionale, e ipotizza
questo scenario: il marito ha pagato la sua equidistanza da qualsiasi
partito e il suo amore per il Paese al di là delle divisioni
settarie sull’altare delle nuove elité al potere. Di questo crimine,
secondo la vedova e il figlio “sono responsabili figure
attualmente al Governo”. Da parte mia aggiungo, semplicemente, che
è molto strano non attivare nessun tipo di inchiesta o di
interrogazione parlamentare o di indagine di fronte al rapimento di
ben 24 persone da parte di un commando armato che ha fatto irruzione
in una sala conferenze pubblica a Baghdad. E’ come se in Italia 20
persone irrompessero armate durante una riunione di Confindustria,
intimando ai cameraman presenti di spegnere le telecamere prima
dell’azione e rapissero 24 delegati. Provate solo a immaginarlo. Non
chiedersi il perché, non attivare nessuna azione di contrasto, non
interrogare i rilasciati, insabbiare tutto nel silenzio, a livello
locale e internazionale, equivarrebbe inevitabilmente a rendersene
complici.
UNKNOWN IRAQ TRAILER from Laura Silvia Battaglia
Laura Silvia Battaglia |