Franca Rame e il suo impegno
E’ mancata l’attrice Franca Rame. Per ricordarla, pubblichiamo solo il testo integrale e il video del suo monologo intitolato Lo stupro: parole incise sul corpo, un testo scritto dopo avere subìto la violenza sulla propia pelle. Un lavoro teatrale che, oggi come nel 1973, deve far riflettere.
C’è una radio che suona… ma solo dopo un po’ la sento. Solo dopo
un po’ mi rendo conto che c’è qualcuno che canta. Sì, è una radio.
Musica leggera: cielo stelle cuore amore… amore…Ho un ginocchio, uno
solo, piantato nella schiena… come se chi mi sta dietro tenesse l’altro
appoggiato per terra… con le mani tiene le mie, forte, girandomele
all’incontrario. La sinistra in particolare.Non so perché, mi ritrovo a pensare che forse è mancino. Non sto capendo niente di quello che mi sta capitando.Ho
lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce… la
parola. Prendo coscienza delle cose, con incredibile lentezza… Dio che
confusione! Come sono salìta su questo camioncino? Ho alzato le gambe
io, una dopo l’altra dietro la loro spinta o mi hanno caricata loro,
sollevandomi di peso?Non lo so.È il cuore, che
mi sbatte così forte contro le costole, ad impedirmi di ragionare… è il
male alla mano sinistra, che sta diventando davvero insopportabile.
Perché me la storcono tanto? Io non tento nessun movimento. Sono come
congelata.Ora, quello che mi sta dietro non tiene più il
suo ginocchio contro la mia schiena… s’è seduto comodo… e mi tiene tra
le sue gambe… fortemente… dal di dietro… come si faceva anni fa, quando
si toglievano le tonsille ai bambini.L’immagine che mi
viene in mente è quella. Perché mi stringono tanto? Io non mi muovo, non
urlo, sono senza voce. Non capisco cosa mi stia capitando. La radio
canta, neanche tanto forte. Perché la musica? Perché l’abbassano? Forse è
perché non grido.Oltre a quello che mi tiene, ce ne sono
altri tre. Li guardo: non c’è molta luce… Né gran spazio… Forse è per
questo che mi tengono semidistesa. Li sento calmi. Sicurissimi. Che
fanno? Si stanno accendendo una sigaretta.Fumano? Adesso? Perché mi tengono così e fumano?Sta per succedere qualche cosa, lo sento… Respiro a fondo… due, tre volte. Non, non mi snebbio… Ho solo paura…Ora
uno mi si avvicina, un altro si accuccia alla mia destra, l’altro a
sinistra. Vedo il rosso delle sigarette. Stanno aspirando profondamente.
Sono vicinissimi.Sì, sta per succedere qualche cosa… lo sento. Quello
che mi tiene da dietro, tende tutti i muscoli… li sento intorno al mio
corpo. Non ha aumentato la stretta, ha solo teso i muscoli, come ad
essere pronto a tenermi più ferma. Il primo che si era mosso, mi si
mette tra le gambe… in ginocchio… divaricandomele. È un movimento
preciso, che pare concordato con quello che mi tiene da dietro, perché
subito i suoi piedi si mettono sopra ai miei a bloccarmi.Io ho su i pantaloni. Perché mi aprono le gambe con su i pantaloni? Mi sento peggio che se fossi nuda!Da
questa sensazione mi distrae un qualche cosa che subito non individuo…
un calore, prima tenue e poi più forte, fino a diventare insopportabile,
sul seno sinistro.Una punta di bruciore. Le sigarette… sopra al golf fino ad arrivare alla pelle.Mi
scopro a pensare cosa dovrebbe fare una persona in queste condizioni.
Io non riesco a fare niente, né a parlare né a piangere… Mi sento come
proiettata fuori, affacciata a una finestra, costretta a guardare
qualche cosa di orribile.Quello accucciato alla mia destra
accende le sigarette, fa due tiri e poi le passa a quello che mi sta tra
le gambe. Si consumano presto.Il puzzo della lana bruciata
deve disturbare i quattro: con una lametta mi tagliano il golf,
davanti, per il lungo… mi tagliano anche il reggiseno… mi tagliano anche
la pelle in superficie. Nella perizia medica misureranno ventun
centimetri. Quello che mi sta tra le gambe, in ginocchio, mi prende i
seni a piene mani, le sento gelide sopra le bruciature…Ora… mi aprono la cerniera dei pantaloni e tutti si dànno da fare per spogliarmi: una scarpa sola, una gamba sola.Quello che mi tiene da dietro si sta eccitando, sento che si struscia contro la mia schiena.Ora quello che mi sta tra le gambe mi entra dentro. Mi viene da vomitare. Devo stare calma, calma.“Muoviti,
puttana. Fammi godere”. Io mi concentro sulle parole delle canzoni; il
cuore mi si sta spaccando, non voglio uscire dalla confusione che ho.
Non voglio capire. Non capisco nessuna parola… non conosco nessuna
lingua. Altra sigaretta.“Muoviti puttana fammi godere”.Sono di pietra.Ora è il turno del secondo… i suoi colpi sono ancora più decisi. Sento un gran male.“Muoviti puttana fammi godere”.La lametta che è servita per tagliarmi il golf mi passa più volte sulla faccia. Non sento se mi taglia o no.“Muoviti, puttana. Fammi godere”.Il sangue mi cola dalle guance alle orecchie.È il turno del terzo. È orribile sentirti godere dentro, delle bestie schifose.“Sto morendo, – riesco a dire, – sono ammalata di cuore”.Ci credono, non ci credono, si litigano.“Facciamola
scendere. No… sì…” Vola un ceffone tra di loro. Mi schiacciano una
sigaretta sul collo, qui, tanto da spegnerla. Ecco, lì, credo di essere
finalmente svenuta.Poi sento che mi muovono. Quello che mi
teneva da dietro mi riveste con movimenti precisi. Mi riveste lui, io
servo a poco. Si lamenta come un bambino perché è l’unico che non abbia
fatto l’amore… pardon… l’unico, che non si sia aperto i pantaloni, ma
sento la sua fretta, la sua paura. Non sa come metterla col golf
tagliato, mi infila i due lembi nei pantaloni. Il camioncino si ferma
per il tempo di farmi scendere… e se ne va.Tengo con la
mano destra la giacca chiusa sui seni scoperti. È quasi scuro. Dove
sono? Al parco. Mi sento male… nel senso che mi sento svenire… non solo
per il dolore fisico in tutto il corpo, ma per lo schifo… per
l’umiliazione… per le mille sputate che ho ricevuto nel cervello… per lo
sperma che mi sento uscire. Appoggio la testa a un albero… mi fanno
male anche i capelli… me li tiravano per tenermi ferma la testa. Mi
passo la mano sulla faccia… è sporca di sangue. Alzo il collo della
giacca.Cammino… cammino non so per quanto tempo. Senza accorgermi, mi trovo davanti alla Questura.Appoggiata
al muro del palazzo di fronte, la sto a guardare per un bel pezzo.
Penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora… Sento le loro
domande. Vedo le loro facce… i loro mezzi sorrisi… Penso e ci ripenso…
Poi mi decido…Torno a casa… Torno a casa… Li denuncerò domani“.