La frustrazione di essere siriani, di Shady Hamadi
chiesto un contributo a Shady Hamadi sulla situazione siriana e ci
ha, gentilmente, concesso di pubblicare questo testo uscito sul
Corriere della sera il 21 agosto 2013. Ringraziamo tantissimo Shady
Hamadi per aver condiviso anche con noi il suo articolo.
giorno per capire la nostra frustrazione. Dovreste aver vissuto per
quarant’anni sotto un regime che incarcera chi agisce o pensa
diversamente dalla dottrina di regime. Dovreste vivere la vita di
quei figli di siriani nati all’estero, magari in Italia, che non
sono mai stati in Siria perchè i loro genitori, trent’anni fa, si
sono opposti al regime e provare la frustrazione di aver negate le
vostre radici. C’è una costante in questi 28 mesi di rivoluzione
in Siria: la frustrazione causata dall’abbandono.
Spesso mi
capita di parlare con siriani dentro e fuori il Paese e il dato fisso
che emerge è la loro solitudine, causata dallo sguardo dell’altro,
dalla sua indifferenza e dall’incomprensione. La Siria interessa
quando siamo coinvolti direttamente, solo allora se ne parla.
Quando non sono italiani o
occidentali a morire ma, “semplicemente”, siriani, tutto cambia.
Penso a Ammar, 15 anni, morto
qualche giorno fa a Homs. Quello stesso giorno in città morirono 20
persone, delle quali sappiamo-noi siriani- nomi, cognomi e storie di
vita. Per i siriani, dare un nome e un volto agli oltre 100 mila
morti è un dovere, non possono permettere che queste persone vengano
disanimate ulteriormente. Per l’Occidente no, cento o cento mila
siriani morti rimangono un dettaglio in tutta la vicenda. Si parla
dei massimi sistemi: geopolitica, diplomazia e economia.
Però, a volte, i siriani
riescono a fare notizia, a guadagnare le prime pagine.
Quando un tale, a Homs, addenta il
cuore di un soldato morto e carica il video su youtube, addirittura
la BBC cerca di intervistarlo, ma quando succedono cose più
“normali”, come la mutilazione dei cadaveri di donne e bambini,
rastrellamenti, bombardamenti di intere città, beh, questo rimane
consueto e quindi non degno di essere notizia.
L’islamofobia detta lo
sguardo su tutto quello che accade in Siria e in medioriente.
Quando un altro signore ad Aleppo,
sconosciuto a tutti, carica un video su youtube dove lancia una fatwa
nella quale vieta il consumo delle brioches anche questa diventa una
notizia, mentre se a Quseyr viene compiuta una pulizia religiosa e
gli ultimi abitanti sunniti della città sono costretti a una marcia
forzata a piedi verso il nord, per salvarsi dal massacro di
Hezbollah, nessuno ne parla. La giustificazione è che Assad è
laico, quindi può permettersi di bombardare tutta la Siria, di
creare 2 milioni di rifugiati e 5 milioni di profughi interni al
paese. L’importante è che mantenga l’armonia religiosa
all’interno della Siria perchè, dicono i benpensanti(anche
italiani), “prima degli Assad non esisteva nessuna convivenza
religiosa”.
Eppure Maalula, una
cittadina dove si parla ancora l’aramaico, è lì vicino a Damasco
da millenni e gli abitanti hanno sempre vissuto in pace con tutti.
Questo non dimostra che la convivialità tra le fedi è il tesoro di
questo popolo e che quindi trascende il regime?
Il senso di abbandono è anche dato
dal fatto che: se un siriano scappa dal proprio Paese per sfuggire
alla morte nessuno Stato gli concede il visto. Ma noi, culla della
civiltà occidentale, come pensiamo di salvare questo popolo?
Ad esempio, perchè
l’Italia non apre una quota d’accoglienza per 10 000 siriani? E
perchè il governo italiano non ha ancora rintracciato tutti i
capitali del regime investiti nel nostro Paese, per poi sequestrarli
e devolverli a enti per la tutela dell’infanzia siriana e per il
soccorso umanitario?
Essere siriani oggi, e scappare dal
proprio Paese, vuol dire sapere che nessuno ti accoglierà. Questo a
meno di fare un viaggio della speranza, con il rischio di morire in
quella tomba dei migranti che è il mar Mediterraneo.
Solo quando arriveranno
migliaia di siriani sui barconi a Lampedusa capiremo che la Siria
deve essere una nostra priorità?
A quel punto i soliti partiti
xenofobi in Italia grideranno all’invasione e a sparare con i
cannoni contro quei barconi. Essere siriano oggi non è facile,
perchè non ti puoi raccontare e se lo fai ti scontri con degli
schemi precostruiti di una parte dell’opinione pubblica e
politica.Ti viene detto qui in Europa, a te che sei siriano, che
quello che avviene in Siria è un conflitto esclusivamente
confessionale scoppiato nel 2011 e che bisogna cercare una soluzione
politica. Nel 2011 rivolte pacifiche portarono il popolo in piazza
per quasi un anno, 365 giorni in cui i pacifisti siriani vennero
massacrati.
Perchè la comunità
internazionale non cercò allora una soluzione politica ma la cerca
oggi dopo un’ecatombe?
Si parla sempre della memoria. Da
poco è ricorso l’anniversario di Srebrenica, dove sotto gli occhi
della comunità internazionale si è compiuta una pulizia
etnico-religiosa. Si è gridato “mai più”, ma a Quseyr, Banyas,
Homs sta avvenendo la stessa cosa, anche grazie a un clero cristiano
colluso con il regime – quasi a ripetere lo stesso scenario della
dittatura militare in Argentina tra la fine degli anni Settanta e gli
inizi degli Ottanta. La Chiesa di Roma dovrebbe richiamare quel clero
che si è schierato, grazie a ingenti benefit, con la dittatura. La
chiesa deve essere di tutti e per tutti perchè si può essere
credenti nell’Islam ma innamorati di Gesù.
Cosa si può fare ora?
In questo momento è essenziale
cominciare a supportare i giovani democratici siriani, quelli che nel
2011 diedero il via alla rivoluzione in nome di una Siria per tutti,
democratica e laica. Questi siriani sono gli stessi che oggi si
trovano isolati, schiacciati da una repressione feroce e un
radicalismo che non rispecchia la Siria che vogliono ma, anzi, aiuta
ad alimentare la propaganda di regime. Qui, in Occidente, abbiamo la
memoria troppo corta. Ci siamo già dimenticati di Hamza al Khateeb,
Ghayath Mattar e delle migliaia di siriani morti prima del 2011,
quando Assad veniva accolto nei salotti della diplomazia
internazionale perchè considerato un riformatore. Oggi, ora, è
importante non alimentare la frustrazione dei siriani che sentono di
non riuscire a raccontarsi e di non venir ascoltati.
(nella foto di Mohamed Abdullah
per la Reuters, un giovane combattente dell’Esercito siriano
libero)