Matei copil miner: una piccolo grande film rumeno, di Massimiliano Studer
49a mostra del Nuovo cinema di Pesaro ha premiato, nel giugno del
2013, Matei copil miner (Matei bambino minatore,
Rom-Fra-Ger, col., 80’, 2013) scritto, montato e diretto da
Alexandra Gulea, all’esordio da regista in un film di finzione dopo
diversi lavori come documentarista, con due riconoscimenti: premio
della giuria giovane e premio Lino Miccichè. La nostra associazione
Formacinema è riuscita ad entrare in contatto con i
responsabili del Festival di Pesaro per ottenere la copia del film e
inserirla all’interno della rassegna “Le vie del cinema: i film
di Venezia e Locarno a Milano” che si svolge, in diverse sale
cinematografiche, a Milano dal 16 al 24 settembre 2013. La proiezione
del film avverrà il 23 settembre presso il cinema Apollo di Milano
in due distinti orari: alle 15 e 30 e alle ore 20. Non vi è dubbio
che per Milano è un’occasione unica per poter vedere un film
premiato in una delle più importanti e raffinate manifestazioni
cinematografiche d’Italia. È la prima volta, infatti, che accade
un evento del genere perché mai, prima d’ora, il Festival è
riuscito ad arrivare nella nostra città e questo è motivo di
orgoglio per la nostra Associazione.
film vincitore del Festival di Pesaro proviene da una delle realtà
cinematografiche più emergenti d’Europa, la Romania. Già
presentato con grande successo di critica e pubblico al Festival di
Rotterdam, il film narra la storia di un ragazzino di nome Matei,
interpretato da un giovanissimo, talentuoso e quasi sempre muto
Alexandru Czuli, che vive in un villaggio minerario della Romania. La
cittadina appare in rovina a causa di un evidente declino sociale ed
economico dovuto alla cessazione dell’estrazione del carbone. La
rappresentazione visiva di questo contesto ambientale è ottenuta
dall’uso insistente di panoramiche dall’alto, in campo lungo,
capaci di inserire i personaggi in un quadro che, pur desolante,
emana un indubbio fascino visivo. L’esperienza della regista come
documentarista permette all’occhio della macchina da presa di
individuare sempre l’aspetto poetico degli scorci più desolanti.
Queste inquadrature, inoltre, vengono sincronizzate, spesso e
volentieri, con i versi degli uccelli in volo o con i rumori della
città o con una musica allegra di origine zingara. Quasi tutto il
film si svolge durante l’inverno e questa scelta di sceneggiatura è
funzionale alla possibilità di accentuare l’aspetto squallido e
triste di un paesino caduto letteralmente in rovina. Ed è in questo
freddo e desolante contesto che il giovane protagonista cerca di
trovare il calore affettivo che gli manca. Un’inconsueta passione
per gli insetti permette a Matei di incrementare l’affetto
proveniente sia dal rapporto con l’anziano e all’apparenza
premuroso nonno sia alle algide telefonate che la madre, residente
all’estero, gli fa ogni sera. Un elemento importante della
narrazione è dedicato, inoltre, all’ambiente scolastico in cui il
piccolo protagonista si muove ed esprime la sua personalità. Un
luogo, tuttavia, gestito da adulti che sembrano incapaci di
promuovere comportamenti formativi attenti alle esigenze delle
piccole personalità dei loro frequentatori. Una delle scene chiave
del film, ad esempio, ci mostra un amico di Matei mentre viene
umiliato davanti alla classe perché non ricorda una poesia (vedi
foto a fianco). Questo evento rappresenta la svolta del film perché
porterà il protagonista a intraprendere delle scelte che cambieranno
la sua vita. In una gelida sera, infatti, i giovani protagonisti
decidono di imbrattare la macchina della professoressa di lettere con
alcune scritte ingiuriose per vendicarsi dell’umiliazione subita.
La bravata, tuttavia, non passa inosservata e Matei viene espulso da
scuola. Il nonno, convocato dall’insegnante di rumeno, viene
avvertito dell’episodio. Appena rientrato a casa, però, picchia
violentemente il nipote che decide, a questo punto, di fuggire di
casa. Una fuga che segnerà il protagonista e lo renderà consapevole
di un disprezzo per quelle istituzioni degli adulti che non sono
state capaci di comprendere il suo mondo. Matei, senza riflettere
troppo sulle conseguenze del gesto, prende il primo treno che parte
dal paesino e si reca a Bucarest. Raggiunge la capitale di notte e in
un museo di storia naturale, In una delle scene più suggestive del
film, incontra il guardiano che riesce a apprezzare e valorizzare la
passione del protagonista per gli insetti. Rientrato al paesino dopo
questa breve ma intensa avventura, Matei scopre che il nonno è
morto. Gli assistenti sociali cercano di capire dal bambino, ormai
scivolato in un rabbioso mutismo, se desidera recarsi in Italia dalla
madre o se preferisce rimanere in un orfanotrofio. La madre di Matei,
però, rientra in Romania per portare con sé il figlio nel Bel
Paese. Mentre stanno per partire, Matei si nasconde e, in questo
modo, sceglie di rimanere nel piccolo villaggio mentre la madre lo
abbandona di nuovo perché, del tutto incurante del figlio, riesce a
prendere l’areo che la riporterà di nuovo in Italia. Il film si
chiude con la stessa inquadratura con cui si apre: una ripresa dei
tetti delle case del piccolo villaggio dove Matei ha scelto di
vivere.
di là della trama, come sempre, è più interessante evidenziare lo
stile visivo del film. Una pellicola, in molti momenti, è quasi
senza dialoghi e incentrata sulla comunicatività delle immagini e
delle situazioni. Un montaggio sempre attento a dialogare con
l’intelletto dello spettatore perché è lui a dover interpretare
le informazioni per comprendere la trama. In questo senso la scelta
stilistica più frequentemente usata dalla regista per narrare le
vicende del protagonista è l’ellissi. Molti episodi del film,
infatti, sono giocati sul salto temporale operato dal montaggio che
la mente dello spettatore è costretto a colmare con l’immaginazione
e la deduzione logica. Si pensi, ad esempio, alla punizione corporale
subita da Matei ad opera del nonno. Lo spettatore, infatti, non
assiste al dialogo tra l’insegnante e il nonno ma ne deduce i
contenuti. Anche il viaggio in treno è raccontato con lo stesso
stratagemma narrativo. L’altoparlante della stazione, infatti,
elenca tutte le fermate e l’ultima è proprio Bucarest est. Quando
lo spettatore vede camminare Matei per le strade di una città è
immediatamente in grado di dedurre che si trova proprio nella
capitale rumena. Un film molto intenso, dunque, da un punto di vista
visivo supportato dall’espressività del viso del piccolo Matei con
i suoi grandi occhi marroni che scrutano il mondo degli adulti troppo
spesso cinici e del tutto incuranti delle esigenze dei ragazzi. Un
film che parla della condizione dell’adolescenza e con lo sguardo
universale degli adolescenti, uguali in tutte le parti del mondo. Ma
è la visione diretta del film a permettere ai lettori di comprendere
appieno le tematiche della pellicola.
poter vedere Matei Copil
Miner presso il cinema
Apollo di Milano, gli spettatori possono acquistare i biglietti su
www.lombardiaspettacolo.it
o all’Infopoint dell’Apollo, aperto tutti i giorni dalle 13 alle 20.
questo link con un altro interesante articolo di Monica Macchi, sul
festival di Istanbul