Fumetti, attualità e libertà di pensiero
Takoua Ben Mohamed è una ragazza di origine tunisina, figlia di un rifugiato politico, che vive in Italia dall’età di otto anni. Takoua è fumettista e usa la sua creatività per raccontare la propria storia e quella di tante altre giovani donne musulmane che hanno affrontato un percorso di integrazione in un Paese nuovo. Nelle opere dell’artista si parla anche di molti altri argomenti di stretta attualità.
Abbiamo intervistato per voi Takoua Ben Mohamed che ringraziamo tanto per questo racconto.
Quali sono gli argomenti di cui parli nei suoi fumetti?
Gli argomenti di cui parlo generalmente nei miei fumetti e nei corti animati sono la primavera araba come nasce in Tunisia fino ad arrivare in Siria, Palestina, etc; i diritti umani che vengono violati soprattutto nei Paesi in guerra e ciò che è stato prima della primavera araba, cioè la vita sotto le dittature; il razzismo in ogni suo genere e forma; la questione del velo, soprattutto nell’età adolescenziale, e come si affronta la scelta di indossarlo in una società non musulmana, tra i pregiudizi o all’incontrario la positività che molto spesso gli viene trasmessa per l’atto di coraggio.
Ora mi sto anche dedicando a tematiche più educative nel settore dei cartoni animati…ovviamente senza mai perdere d’occhio il mio obbiettivo principale, la libertà di pensiero, d’espressione attraverso i fumetti e l’animazione.
Perché la scelta delle graphic-novel per affrontare temi di grande attualità?
La scelta dei graphic-novel, a dire la verità, oltre ad essere quella che esprime di più l’immagine di ciò che voglio raccontare, ciò che voglio trasmettere, è anche una mia passione…fin da piccola disegno e guardo i cartoni animati, ho provato ogni genere di arte e mi sono trovata bene nei graphic-novel, allora ho cominciato a prendere i fumetti e a sfogliarli per imparare a farli. Ho cominciato fin da subito a scrivere su tematiche così importanti soprattutto per me, perché in qualche modo mi rappresentato e molti episodi l’ho vissuti in prima persona. Penso sempre che l’arte sia fatta per esprimere la realtà.
Ci può raccontare brevemente la sua storia personale e quella della sua famiglia?
Come dicevo, molti episodi l’ho vissuti in prima persona, tra i quali la primavera araba e la vita sotto la dittatura. La mia famiglia ed io abbiamo vissuto negli anni ’90 sotto la dittatura di Ben Alì, mio padre lasciò la Tunisia nel 1991, quattro mesi dopo la mia nascita, perché era perseguitato dalle autorità tunisine essendo un membro di uno dei movimenti oppositori al governo dittatore, mio zio è stato arrestato e messo in carcere per molti anni e torturato fino alla morte, mia madre ha dovuto lavorare e mantenere da sola sei figli sotto i 10 anni e due anziani, per 8 anni da sola, con la pressione del governo che le rendeva la vita difficile, ma lei è una persona forte e paziente e non si è mai arresa. Durante la mia prima infanzia sono cresciuta senza sapere come era fatto mio padre, dove era e non conoscevo la sua voce, ma poi da un giorno all’altro all’età di otto anni,nel 1999, mi son ritrovata in Italia con mio padre davanti, orgogliosa di lui e felice. Da quel giorno non siamo più tornati in Tunisia.
In seguito, passata la fase della dittatura, ho deciso di mettere il velo a 11 anni, un anno dopo l’11 settembre: per molti mi sono resa la vita difficile, ma in realtà mi ha aiutata a crescere e a sfidare un muro di pregiudizi nonostante la mia giovanissima età perchè ero e sono molto ottimista.
Arrivata la primavera araba, nel 2011, io e la mia famiglia per la prima volta dopo 12 anni (e papà dopo vent’anni di separazione dalla nostra terra) siamo tornati in Tunisia, nessuno aveva sperato in quel giorno, né noi in Italia, né loro in Tunisia. Ma quel giorno è arrivato, si è riunita la famiglia tra lacrime a abbracci: non ci hanno mai dimenticati, è stata una grande emozione.
Oltre a tutto questo ho sempre partecipato a manifestazioni, eventi, incontri per la Palestina, primavera araba e tutto in ciò in cui credo e scrivo.
Quali sono state (se ci sono state) le sue difficoltà nel processo di inserimento nella società italiana?
Di sicuro non è stato facile inserirmi nella società italiana, sono stata vista sempre come quella diversa in un certo senso, ma questo non mi dispiaceva, anzi mi piaceva molto, mi faceva sentire che ho qualcosa in più rispetto agli altri, anche perché non è solamente la questione del velo, è anche il fatto che sono straniera, quindi un’altra cultura, altra mentalità, altre usanze ecc. ma questo non mi ha per niente influenzato: sì, sono musulmana velata, straniera, di altra cultura e mentalità, ma mi sono perfettamente integrata in questa società, cioè mi considero una persona con una doppia appartenenza doppia cultura perché ho sempre frequentato scuole italiane dalle elementari fino ad oggi, ma comunque a casa, in moschea e alla scuola di arabo che frequentavo nel weekend non mi hanno mai fatto dimenticare le mie origini la mia lingua madre. E questo è una ricchezza a mio parere!
Durante le elementari è stato un periodo sereno, ero abbastanza coccolata dalle maestre, ero l’unica straniera di origine araba; dalle medie in poi, invece, ho cambiato carattere e sono diventata più forte per farmi rispettare per ciò che sono senza cambiare ed essere solo la metà di ciò che sono!
Come convivono, in lei, l’anima romana e quella tunisina?
L’anima romana si sente tantissimo soprattutto nel mio italiano che è praticamente romano.. ricordo che il primissimo fumetto che ho scritto, avevo 14 anni allora, parla proprio di questa ragazza che decide di indossare il velo il primo giorno di scuola alle superiori, con tutte le difficoltà a scuola, ma comunque il suo italiano era in perfetto dialetto romano… il testo del fumetto era tutto in ”romanaccio”, proprio per far risaltare la sua integrazione nella periferia romana, mi piaceva tanto, mi ero proprio innamorata di quel fumetto, lo conservo tutt’ora e penso di rifarlo bene e pubblicarlo !
Cosa pensa della “questione del velo” per le donne islamiche? Pongo anche a lei la stessa domanda che abbiamo già fatto ad altre donne e ragazze musulmane: è una scelta religiosa, politica, culturale?
La questione del velo in Italia e nel mondo è un po’ sopravvalutata, spesso collegano ad esso un’ interpretazione che non è giusta, soprattutto dopo l’11 settembre 2001.
Ricordo quando indossai il velo per la prima volta, avevo 11 anni, esattamente un anno dopo quella data, la prima cosa che mi dissero uscendo di casa fu ”talebana, terrorista” nonostante fossi una bambina, ma ho continuato ad indossarlo lo stesso. Lo indossai sia per religione che per politica perchè ero convinta della mia scelta come donna, ragazza, bambina musulmana, come un qualcosa che mi completa, essendo un obbligo religioso ma soprattutto una scelta personale che deve venire dal cuore di ogni donna che sceglie liberamente di metterlo, un qualcosa che completa la mia fede, e che mi aiuta a crescere. Per scelta politica nel senso che, prima di scegliere di indossarlo, vedevo come venivano giudicate le mie sorelle maggiori per strada, come venivano guardate, mi ero incuriosita di sapere il perchè, e alla fine ho deciso di metterlo per mia liberissima scelta!
Sono stati pubblicati i suoi lavori?
I miei lavori sono stati pubblicati per la prima volta nel libro della professoressa Renata Pepiccelli ”Il velo nell’islam. storia politica, estetica.” Poi ho organizzato mostre per molti eventi culturali organizzati da associazioni culturali e giovanili e organizzazioni umanitarie. Ho collaborato al docufilm di Luca Bauccio ”al qaeda! al qaeda! come fabbricare qualcosa in tv!”
Ora pubblico mensilmente fumetti di genere graphic journalism con i mittenti ”villageuniversel.com”, vignette con ”italianipiu.it” e ora inizierò con retenear.it dell’Unar, Oltre a questo studio alla Nemo Academy of digital arts di Firenze per un corso di Cinema d’animazione e, grazie ai miei studi, sto lavorando su vari progetti d’animazione.