Dal
1996 ogni 21 marzo si celebra la Giornata
della Memoria e dell’Impegno per ricordare le vittime innocenti di
tutte le mafie.
Il 21 marzo, primo giorno di primavera, è il simbolo della speranza
che si rinnova per continuare a cercare una giustizia vera e
profonda, trasformando il dolore in uno strumento concreto, non
violento, di impegno e di azione di pace.
In
questa giornata così importante abbiamo rivolto alcune domande a
Giulio Cavalli, attore e scrittore, in scena con il suo spettacolo teatrale – tratto
dal saggio omonimo – Nomi,
cognomi e infami.
Ringraziamo
molto Giulio Cavalli per la sua disponibilità
Un
libro, uno spettacolo teatrale: da cosa nascono questi due
progetti? E quanto è importante far conoscere nomi e cognomi dei
collusi con le mafie?
Nascono
da un’esigenza di fondo: evitare le speculazione sulle storie
personali del narratore e tornare sulle storie, sui personaggi
(che in questo caso sono persone in carne e ossa che hanno
lottato al fronte). Il libro nasce ormai qualche non fa per
provare a mettere ordine in ciò che mi stava accadendo e
spostare i riflettori sugli eroi moderni del nostro tempo da
Borsellino a Don Peppe Diana e molti altri. Lo spettacolo, come
spesso succede, ha invece un’altra vita e altri tempi e nel
corso del tempo si è reinventato completamente diventando una
sorta di “teatrogiornale” che parte dalla memoria e cerca di
arrivare al contemporaneo. Tenere vive le storie del passato
declinandole nel presente con l’arma bianca potentissima del
sorriso.
Da anni si occupa di questo
argomento e dimostra che le mafie sono infiltrate ovunque, anche
nel Nord Italia, e questo rovescia lo stereotipo sul meridione…
Fortunatamente
la consapevolezza sta maturando e ora non c’è più spazio per
banali negazionismi. A Milano come in molte altre città del nord
abbiamo dovuto sopportare importanti figure politiche e
istituzionali che si sono permesse di non vedere (e pretendere
che non si vedesse) il problema delle mafie finendo per
alimentarle. Negli ultimi anni su questo abbiamo fatto dei grandi
passi in avanti e spero che presto si possa arrivare a decidere
che chi nega è semplicemente un imbecille oppure un colluso. Mi
rincuora il fatto che frequentando spesso le scuole mi renda
conto come le nuove generazioni non risentano più molto dello
stereotipo mafia = sud.
Può
anticiparci alcune storie da lei raccontate?
Da
Peppino Impastato al generale Dalla Chiesa e all’Avv. Ambrosoli, lo scempio
di rifiuti interrati in Campania e poi quello che succederà in
quei giorni. Lo spettacolo è “mobile” e si avvale di un
canovaccio a disposizione dell’improvvisazione quotidiana. Non
ne esistono mai due uguali. Anzi a volte le repliche sono molto
dissimili.
Parlare
di mafia, lottare contro la criminalità organizzata, fare
campagne di sensibilizzazione: anche questo vuol dire “fare
politica”? E qual è la responsabilità di ogni cittadino?
C’è l’articolo 4 della
Costituzione. E’ un comandamento bellissimo e pieno di
speranza: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo
le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una
funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della
società”.
L’articolo
dice che l’indifferenza è incostituzionale.
670 persone vivono sotto scorta,
in Italia, e lei è una tra loro: quando è cominciato questo suo
percorso? Come si svolge la sua quotidianità?
Non
credo sia il caso di coltivare questa bulimia di racconti di
scortati: faccio tranquillamente il mio lavoro con uno Stato che
mi protegge. Piuttosto che parlare delle scorte di attori o
scrittori sarebbe il caso di domandarsi in che condizioni vivano
i testimoni di giustizia. Potremmo finalmente liberarci della
superficialità e del voyeurismo che hanno fatto scivolare
l’antimafia in un “Grande Fratello”.
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