Roots Run Deep di Hamde Abu Rahma
Un
libro fotografico su Bil’in, piccolo villaggio a ovest di Ramallah,
a pochi chilometri dalla
linea verde
internazionale,
dove il governo israeliano ha iniziato a costruire il muro
dell’apartheid sottraendo
oltre la
metà delle
terre
coltivate e
ampliando
l’insediamento
israeliano di Modi’in
Ilit.
foto mostrano gli effetti dell’occupazione; prima di tutto effetti
economici: i
moltissimi senzatetto a cui hanno demolito le case come questo che ha
caricato sull’asino tutto ciò che gli è rimasto (visto che
Israele non permette neppure l’accesso ai materiale di
costruzione), alberi sradicati, animali denutriti.
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E poi gli
effetti psicologici soprattutto sui bambini costretti a giocare con
le bombe e
a respirare violenza e soprusi ai check point e nei raid notturni
con
aggressioni
fisiche,
percosse,
continui
insulti,
umiliazioni
e abusi
sempre
più
difficili da
superare.
le foto mostrano anche la resistenza
pacifica e
creativa dei palestinesi, trasformati in Avatar
o
Babbo Natale a cui ben presto si uniscono
attivisti israeliani e internazionali e la dura reazione
dell’esercito israeliano con gas lacrimogeni,
skunky water (acque sporca “chimica” di cui nessuno conosce la
composizione), proiettili
di gomma,
arresti indiscriminati
Bil’in parla anche il documentario “Five
broken cameras” che ha vinto
il premio
“World
Cinema
Documentary”
al Sundance
Film
Festival
2012
e
il premio
per il
miglior documentario
al
Festival
del Cinema di
Gerusalemme
del 2012, è stato il primo film
palestinese
ad essere
stato nominato all’Oscar (nella categoria “Miglior
Documentario”).
Hamed ha iniziato a far fotografie dopo l’uccisione di suo cugino
Bassem proprio durante una delle manifestazioni
nonviolente perché “anche
se il
mondo
rimane
in silenzio,
restare un
testimone
silenzioso
non
era più
possibile
per
me”.