EU013 L’ultima frontiera
Ogni anno migliaia di cittadini stranieri vengono trattenuti all’interno dei Centri di Identificazione ed Espulsione (C.i.e.) italiani per non avere un regolare permesso di soggiorno. Possono restarvi rinchiusi fino ad un anno e mezzo senza aver commesso reato: questo genere di detenzione amministrativa in Europa è la conseguenza estrema del funzionamento delle frontiere all’interno dell’area Schengen.
Il documentario, EU013 – L’ultima frontiera, di Raffaella Cosentino e Alessio Genovese, mostra gli operatori della polizia di frontiera di Ancona e Fiumicino, seguiti nelle normali procedure di controllo e contrasto all’immigrazione irregolare Il tentativo è quello di descrivere l’idea che oggi è alla base dell’affermazione di una identità europea diversa da tutto ciò che non lo sia. E i CIE sono la conseguenza estrema di questa idea.
Il film è stato presentato al Festival di Rotterdam e al Festival dei popoli. E’ stato vincitore, nel 2012, del Premio Maria Grazia Cutuli.
Abbiamo rivolto alcune domande a Raffaella Cosentino che ringraziamo tantissimo per il tempo che ci ha dedicato.
Nel titolo si parla di “ultima frontiera”: qual è il collegamento tra un CIE e il concetto di frontiera?
I collegamenti sono molteplici: uno è un collegamento fisico-geografico perchè il Cie è una sorta di limbo in cui si rimane intrappolati. Ci sono persone che fanno anche dieci anni dentro e fuori dai CIE oppure dal circuito carcere-CIE e questi rappresentano il prolungamento delle frontiere all’interno del territorio nazionale. E poi c’è un discorso simbolico/ideologico per cui i CIE sono la manifestazione delle politiche di frontiera all’interno dell’area Shengen, per cui per abbattere queste frontiere sono stati costruiti i CIE per escludere i cosiddetti “extra-comunitari” che da categoria burocratica sono diventati una categoria simbolica nel senso che la parola “extra-comunitario” ha perso la sua valenza originaria per indicare, invece, uno stigma, per indicare persone povere, reiette, criminali. Non indichiremmo mai come “extra-comunitario” uno svizzero o un americano…Quindi i CIE fanno parte di questa costruzione simbolica razzista.
Su cosa si basano il teorema dell’invasione e la paura nei confronti degli immigrati ?
Vedere delle persone in gabbia, pur non avendo loro commesso alcun reato, conferma lo stereotipo che siano socialmente pericolose e da allontanare dal vivere civile. Questo serve a confermare l’apparato di costruzione di un nemico. Ed è quello che abbiamo raccontato con questo documentario.
Quali sono le condizioni di sopravvivenza all’interno di un CIE?
Come mi diceva poco tempo fa uno dei nostri protagonisti, Lassaad, la persona viene totalmente annientata ed è difficile sopravvivere perchè i CIE sono istituzioni totali in cui si annienta la persona umana, come lo erano i manicomi.
Il tempo che non passa mai, l’ingiustizia di essere rinchiusi per non avere commesso nulla, non si viene rimpatriati, i carcerieri decidono per te qualsiasi cosa: tutto questo, protratto per 18 mesi, ti porta ad essere annullato come essere umano.
L’unica forma di sopravvivenza è la rivolta. Abbiamo avuto una sentenza della magistratura, a Crotone, nel dicembre 2012, in cui il giudice D’Ambrosio ha assolto per legittima difesa tre migranti che avevano danneggiato il CIE, dando vita alla rivolta. Questo perchè, dopo un’ispezione a sorpresa, è emerso che le condizioni all’interno del CIE erano così gravi da produrre una lesione pesantissima dei diritti umani per le persone. E’ stata una sentenza rivoluzionaria.
A Gradisca, invece, le rivolte sono state duramente represse e un ragazzo è finito in coma.
Cosa succede ai migranti allo scadere dei 18 mesi?
Di solito viene dato un foglio di via con l’intimazione di lasciare il territorio nazionale entro 7-15 giorni, cosa che puntualmente non fanno perchè, spesso, sono persone già radicate in Italia. Al successivo controllo dei documenti finiranno di nuovo nel CIE per altri 18 mesi, spostati come pacchi da Nord a Sud, senza che ci sia un criterio o una spiegazione logica per cui, ad esempio, uno preso a Milano venga potato nel CIE di Roma e poi trasferito a Gorizia, etc. con spese incredibili per lo Stato.
Avete ripreso gli operatori di Ancona e di Fiumicino mentre fanno i controlli…qual è la sua opinione a riguardo?
A noi serviva far vedere come loro applicano quella che è un’idea politica. Poi ognuno ha il proprio ruolo in questa società e in questo gioco assurdo ci sono due protagonisti: gli uomini della Polizia e i migranti. E noi volevamo mostrare tutti. Non potevamo riprendere la Polizia all’interno dei CIE, ma soltanto a livello della frontiera: il nostro occhio è volutamente neutro, abbiamo semplicemente ripreso quello che è e, secondo me, chi guarda il documentario può darne un’interpretazione a seconda della propria ottica.
Per me è giusto contestare le regole che, a livello europeo, ci stiamo dando.