Le ragioni e i torti: Israele e il rapimento dei tre ragazzi
Per
capire meglio i motivi del rapimento dei tre giovani coloni rapiti,
pubblichiamo il seguente articolo, uscito su www.gariwo.net
lo scorso 20 giugno 2014.
Oz ha spesso
sostenuto che il conflitto israelo-palestinese contrappone due
popoli con due ragioni legittime per un’unica e piccola terra. Non
esiste dunque una verità contrapposta a un’altra, perché
entrambi i popoli esprimono il bisogno di libertà e di
emancipazione. Aggiungerei però che non c’è solo un conflitto di
ragioni, ma anche un conflitto di torti non riconosciuti. La
questione infatti si potrà risolvere quando, da entrambe le parti,
ci saranno intellettuali e politici coraggiosi che oseranno portare
le loro società a una profonda opera di purificazione morale.
Uno
di queste personalità è il presidente emerito del parlamento
israeliano Abraham
Burg che,
intervenendo sul rapimento dei tre giovani israeliani, non solo
condanna l’atto criminale dei gruppi terroristi, ma richiama la
società e i politici israeliani a un esame di coscienza. Non ci
sono solo gli israeliani sequestrati, ma anche migliaia di
palestinesi che sono privati di una speranza per il futuro, e che
spesso si fanno catturare dalle sirene del terrorismo e del
fondamentalismo.
Se anche dalla parte palestinese emergeranno
figure morali come quella di Abraham Burg, che esorta ad ammettere i
propri torti e non solo a rivendicare i propri diritti, la pace sarà
più vicina.
Per il suo valore esemplare proponiamo la traduzione
dell’articolo di Burg, pubblicato su Haaretz il 18 giugno
2014.
Gabriele
Nissim
I
palestinesi: una società sequestrata
Non
riusciamo a comprendere il grido di sofferenza di una società e
continuiamo a tenere nelle nostre mani il futuro di un’intera
nazione.
Stiamo soffrendo per quei tre ragazzini che fino a un
momento fa erano perfetti sconosciuti, ma ora appartengono a tutti
noi. Ognuno di loro potrebbe essere mio figlio o il figlio di
ciascuno dei miei amici e dei loro amici. Come molti, spero con
tutto il cuore che venga presto il momento in cui li vedremo tornare
vivi tra noi e tutta la tensione si scioglierà in un liberatorio
sospiro di sollievo. Tremando di paura, tengo viva la speranza, ma
non posso e non voglio ignorare la verità taciuta che circonda il
loro rapimento.
Questi tre giovani sono davvero sfortunati.
Lo sono per il clima di
terrore nel quale è
avvenuto il sequestro, per l’incertezza e per il grave pericolo che
corrono le loro vite. Soffrendo, rivolgiamo a loro il nostro
pensiero e alle loro famiglie, catapultate all’improvviso nel
clamore dei media. Questi ragazzi sono sfortunati anche per un altro
motivo: l’ipocrisia in cui hanno trascorso il tempo delle loro vite
– vite di apparente normalità, costruite sulle fondamenta della più
grave delle ingiustizie israeliane: l’occupazione.
Ma
lasciamo stare i loro tormenti e torniamo ai nostri. Per noi, un
evento drammatico o un trauma è sempre un’occasione per riflettere
con grande lucidità e chiarezza, quando vengono alla luce tutti i
nostri progetti e fallimenti, paure e speranze.
Ecco l’ottuso
primo ministro di Israele e la polizia incompetente, le masse che si
recano a futili cerimonie di preghiera e non a quelle per la pace
dell’Umanità. Ecco anche i rabbini capi ipocriti del Paese, che
solo un mese fa chiedevano al Papa di impegnarsi per il futuro del
popolo ebraico, ma rimangono
in silenzio, nella vita quotidiana, davanti alla sorte del popolo
dei nostri vicini,
schiacciato dal giogo dell’occupazione e del razzismo fomentato da
quei rabbini che ricevono stipendi e benefit
esorbitanti.
Improvvisamente tutto si manifesta nella sua vera
essenza, emergendo dalle tenebre alla luce del sole. Questo è
proprio il momento di farci un esame di coscienza dato che, come ho
detto, tutto avviene sotto i nostri occhi.
Prima di tutto, la
superficialità di
Netanyahu. Non è una cosa
su cui vi sia molto da aggiungere. Dopo tutto, lui è la persona che
ha portato i colloqui israelo-palestinesi nel vicolo cieco della
questione del rilascio dei prigionieri, nonché colui, per dirla con
le sue stesse parole, che ha violato l’impegno di Israele a
rilasciare l’ultimo gruppo di prigionieri palestinesi. È anche
l’uomo che ha spinto l’Autorità Palestinese nell’angolo
dell’unificazione con Hamas.
Di che cosa va quindi
lamentandosi, con i suoi commenti e gesti esagerati e
melodrammatici? La sua reazione immediata, impulsiva e sconsiderata
mostra che stava solo aspettando il momento giusto per dire: “Ve
l’avevo detto”. E ora che l’ha detto, emerge la vera domanda:
che cosa ci sta dicendo precisamente? La risposta dolorosa è:
niente di niente.
Anche
la sinistra israeliana,che
si presume essere dotata di integrità morale, è diventata la bocca
aperta della carpa, farcita con qualche sostanza grigiastra stesa
sul vassoio del seder pasquale della destra ingorda. Anche
quest’ultima, peraltro, è invischiata in una lotta disgraziata
per una fetta della torta della legittimità, che appartiene a chi è
in grado di ottenere il fedele consenso delle masse.
Come può
essere che nessuno di loro si sia alzato, abbia tracciato una linea
e abbia detto: “Chiunque sta dall’altra parte porta la
responsabilità dell’accaduto”? Non è piacevole, ma è la
verità (che piacevole non è mai, dopo tutto).
Prima che ci
sia un rapimento – perché parlarne? Nessuno ne vuole sapere,
tanto tutto è tranquillo. E al momento del rapimento non dobbiamo
parlare, come ha detto il direttore esecutivo di Peace Now, perché
i ragazzi rapiti non ci sono più. E una volta che tutto finisce (in
quella che, Dio non voglia, potrebbe essere una tragedia personale o
collettiva di cui non importa niente a nessuno), perché dovremmo
parlarne? Ancora una volta tutti sono occupati con la supermodella
israeliana Bar Refaeli, la Coppa del Mondo o il prossimo
scandalo.
Quindi questo è anche un momento di vero
isolamento, non quello
delle case a cui eravamo abituati, ma quello dei cuori. Poche
persone tanto a destra quanto a sinistra – tranne Gideon Levy, Uri
Misgav e pochi altri commentatori cauti e terrorizzati – cercano
di capire le cause profonde del rapimento.
Noi ci
autoassolviamo dicendo: “I palestinesi hanno festeggiato, dopo
aver sentito del rapimento”. La loro felicità ci fa contenti,
dato che più li vediamo felici oltrepassando il nostro dolore, più
ci sentiamo esenti dal doverci interessare a loro e alla loro
sofferenza. Tuttavia non c’è un modo di aggirare il problema: è
un’esultanza che va approfondita e capita a fondo.
La società
palestinese nel suo complesso è una società
sotto sequestro. Come
molti degli israeliani che hanno svolto “un servizio
significativo” nell’esercito, molti lettori di questa rubrica, o
i loro figli, sono entrati nella casa di una famiglia palestinese in
piena notte cogliendoli di sorpresa e sic
et simpliciter,
determinati e insensibili, hanno portato via il padre, fratello o
zio. Anche questo è rapire e succede tutti i giorni. E che cosa
possiamo dire dei detenuti palestinesi nelle carceri
israeliane?
Che cos’è questo se non un rapimento su larga
scala, ufficiale, malvagio e ingiusto al quale tutti partecipiamo e
del quale non paghiamo mai il prezzo? Questo è il destino di decine
di migliaia di detenuti e di altri arrestati che sono, o sono stati,
nelle prigioni israeliane – alcuni per nessuna ragione, con accuse
false, e la maggior parte sottoposta alla giustizia militare. Tutte
cose di cui non ci occupiamo minimamente.
Tutto questo ha
trasformato il tema dei prigionieri nell’argomento principale di
una società sotto occupazione. Non c’è famiglia senza un
detenuto o un prigioniero, quindi perché ci dovremmo stupire della
loro gioia, fermi restando il nostro dolore, le nostre paure e la
nostra preoccupazione? Abbiamo avuto e abbiamo ancora la possibilità
di capirli.
Tuttavia, fino a quando il governo israeliano
sbarra tutte le strade per la libertà, scappa da tutti i negoziati
che potrebbero risolvere il conflitto, si rifiuta di compiere gesti
di buona volontà, mentre viola in modo palese i suoi propri
impegni, la violenza è tutto ciò che rimane per quella gente.
È
già stato dimostrato numerose volte come un rapimento permetta di
liberarsi degli scrupoli. Ancora una volta sembra che Israele non
capisca nient’altro che
la violenza. Che cosa ci
suggerisce questo? Questa nostra reazione, che va da “Se lo
meritano” a “Sono tutti terroristi” a “Sto seguendo degli
ordini” a “Non sapevo che cosa stesse succedendo” dice più
cose su di noi che sui palestinesi.
Nonostante il successo
enorme ed esemplare di Breaking the Silence (una ONG che raccoglie
le testimonianze dei soldati che hanno prestato servizio nella West
Bank), il nostro silenzio totale è ancora il rumore più assordante
intorno a noi. Siamo disposti a uscire dai nostri comodi schemi
mentali per personaggi strani e controversi come Pollard, per una o
tre vittime di rapimento, ma siamo incapaci di comprendere la
sofferenza di un’intera società, il suo grido e il futuro di
un’intera nazione che noi abbiamo sequestrato.
Anche questo va
detto e andrebbe ascoltato durante questo momento di lucidità – e
va detto a voce più alta possibile.
Abraham Burg, presidente emerito
della Knesset