A Lampedusa, dove le donne custodiscono il dolore di altre donne
sono leggi che non stanno né in cielo né in terra perché
appartengono al mare
Ci
sono leggi che non stanno né in cielo né in terra perché
appartengono al mare, quello di sopra e quello di sotto. Lo sanno
gli uomini di Lampedusa, i pescatori e i subacquei che conoscono
l’orrore a soccorrere corpi nudi e unti di nafta di naufraghi
spogliati dei tanti indumenti a strati, unico bagaglio consentito
portato addosso come calamita per affondare negli abissi. Poi c’è
la legge della terra, che è quella della dimora. Le donne
lampedusane, avvisate dai suoni delle ambulanze e dal cielo cupo di
sventura, escono di casa e si portano al molo. Lì
apprendono il nuovo lutto e si apprestano a dar aiuto, come possono,
ai superstiti del nuovo naufragio. Lo si impara subito, a Lampedusa.
Su invito
di Paolo Ruffini, neo direttore di Tv2000, con Erri De Luca siamo
stati sull’isola a mescolare incontri e ricordi. Un viaggio che
avevo rimandato per molto tempo. Sono ancora stordita dal vento e
dalle parole di chi cerca di dare un nome alle cose, anche quando un
nome non c’è. Rimane un dolore inabissato che non se ne andrà
mai, ma anche la gioia delle relazioni affettive che i lampedusani
hanno instaurato con chi è sopravvissuto. Adesso
che il Centro di primo soccorso e accoglienza è vuoto, le donne di
Lampedusa ricordano con dispiacere quel muro issato dallo Stato a
dividere i vivi dai morti,
inaccessibile agli abitanti dell’isola, isola nell’isola, come
un vero centro di detenzione. Mi sento a casa, catapultata ai tempi
de L’isola,
il mio primo film, in cui Erri De Luca era confinato nel carcere di
Favignana. Le nostre testimoni immediatamente mi svegliano
dall’incanto di un ricordo così personale. Rievocano ogni
dettaglio di ogni singolo ragazzo che hanno accudito, ogni bambino
che hanno cullato, ogni uomo a cui hanno dato da
mangiare.
Invisibili, come sempre, le donne migranti. Spaurite
per le troppe violenze subite, lasciano tracce così flebili che si
cancellano con un colpo di vento. Riservate, chiuse, non chiedono
nulla. Le donne di Lampedusa corrono in ospedale e ciò che serve
portano, indumenti asciutti, scarpe, cibo. Il rito è sempre lo
stesso. Prima di tutto le superstiti vanno spogliate dei tanti
strati di vestiti zuppi d’acqua salata di cui non si sono
liberate.
Lacerazioni, bruciature e ferite
inferte da violenze inaudite affiorano sui loro corpi nudi a dire
quello che loro non riescono a dire e che forse, non diranno mai.
Sono i loro corpi a parlare. Il racconto si fa inaccettabile, eppure
è necessario ascoltare. Donne custodiscono il dolore di altre
donne. A Lampedusa è la forza d’animo che guida l’agire. Ognuno
la chiama come vuole, la fede è un fatto privato. A me piace
pensare che la legge del mare e quella della terra siano leggi
dell’essere umano. Lo stesso a cui spetta libertà di movimento,
di viaggio, di vita.
Quatriglio è tornata sul set con Erri De Luca, dopo il suo primo
film L’isola,
per il nuovo lavoro intitolato LampeduSani
per parlare dei migranti e con i migranti, per i ricordi di chi li ha
accolti, per le coscienze mai assopite.