Parlare
della riapertura di un Cie oggi, dopo la pubblicazione del
rapporto della Commissione straordinaria per la tutela e la
promozione dei diritti umani, è compito decisamente più
semplice. Nel rapporto viene ribadito quello che qualsiasi
esperto del settore già sa o quanto meno sospetta: nei Cie la
dignità umana non è garantita. “La popolazione delle
persone trattenute appare eterogenea da un punto di vista sociale,
psicologico, sanitario e giuridico e difficilmente gestibile in
centri chiusi verso l’esterno, strutturalmente afflittivi, spesso
inadeguati nei servizi offerti e con scarsi mezzi di gestione…
Dall’indagine svolta.. sono emerse numerose e profonde
incongruenze riguardo alle funzioni che essi dovrebbero svolgere,
e ciò in ragione di rilevanti insufficienze strutturali, nonché
di modalità di trattenimento inadeguate rispetto alla tutela
della dignità e dei diritti degli interessati” (Rapporto
approvato in Commissione il 24 settembre 2014). Tanto basta non
solo ad opporsi anima e corpo all’apertura di nuove o vecchie
strutture ma anche a chiedere l’immediata chiusura di quelle
ancora aperte. Peraltro già il Tribunale di Crotone nel
dicembre 2012 aveva assolto tre cittadini stranieri imputati per
aver, nel corso di una rivolta, danneggiato la struttura dove
erano trattenuti, in quanto “è risultato che gli imputati
sono stati trattenuti.. in strutture che nel loro complesso sono
al limite della decenza, intendendo tale ultimo termine nella sua
precisa etimologia, ossia di conveniente alla loro destinazione:
che è quella di accogliere esseri umani: e si badi, esseri umani
in quanto tali, e non in quanto stranieri… Tali condizioni
risultano lesive della dignità umana soprattutto se si tiene
conto che si tratta di persone la cui libertà non è stata
compressa come conseguenza della commissione di un reato e che
sono state costrette ad abbandonare i loro Paesi di origine per
migliorare la propria condizione.” I Cie sono lesivi
della dignità umana. E sono anche inutili e
costosissimi. Inutili perché nel 2013 sono stati rimpatriati
in seguito al trattenimento solo lo 0,9 % del totale (stimato) dei
migranti irregolari. Costosissimi perché, seppure sul tema
spese non ci sia la benché minima trasparenza, in base ai calcoli
effettuati dall’associazione Lunaria, si stima siano non meno di
55 milioni annui le spese di gestione dei Cie. Ma a queste vanno
aggiunti i costi di manutenzione straordinaria nonché i costi
relativi al personale delle forze dell’ordine impiegato nelle
operazioni di sorveglianza e rimpatrio. I Cie poi, a dirla
tutta, sono pure incostituzionali anche perché le strutture e le
modalità di trattenimento non sono indicate o stabilite per legge
come impone il perfetto art. 13 Costituzione ma disposto dal
Viminale o dai Prefetti. Se a un qualunque individuo
normodotato spiegassimo che ci sono luoghi in Italia che costano
tantissimo, non servono a nulla, dove le persone vengono rinchiuse
per mesi (fino a un massimo di 18) non per quello che fanno ma per
quello che sono e che in più in questi posti viene
sistematicamente violata la dignità umana, l’uomo medio ti
implorerebbe di chiuderli subito. I nostri amministratori
invece, ignorando rapporti, buon senso, sentenze e norme della
Costituzione, vogliono riaprire quelli già chiusi. Senza
neppure considerare che i cinque Cie (sugli undici presenti)
attualmente funzionanti sono pure semivuoti tanto che a luglio di
quest’anno il ministro Alfano dava per disponibili nei centri già
aperti almeno 500 posti. Viene da domandarsi perché qualcuno
voglia ancora aprire dei Cie. E viene da ribellarsi. Un
signore qualche giorno fa, durante la visita al Cie di Pian del
Lago per la Campagna LasciateCie Entrare si lamentava di un
giornalista che, seppure da lontano, lo stava riprendendo: “non
voglio che i miei figli possano vedermi cosi, in gabbia, mi
vergogno”. La vergogna in realtà è solo nostra, che
costruiamo gabbie per migranti e leggi che ne consentono la
“detenzione amministrativa”. E la vergogna dovrebbe
sommergere chi anche solo pensa di (ri)aprirne ancora.
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