Il caffè delle donne
Pubblichiamo
questa recensione di Raffaele Taddeo (già sulla rivista on-line
El Ghibli) che ci presenta il libro intitolato
Il caffè delle donne, edito
da Mondadori, di Widad Tamimi.
Il
romanzo di Widad Tamimi si presta o molteplici piani di lettura. E’
un libro inteso in cui sono presenti molte più problematiche di
quelle che forse sono percepibili ad una prima lettura. Spesso il
senso ultimo di un romanzo si ricava da descrizioni, comunicazioni
del narratore veicolate dai personaggi, in questo caso molti sensi
e significati si ricavano con altri strumenti. Il testo per essere
compreso fino in fondo deve essere sezionato mediante macro
sequenze, la loro successione e giungere così significato che da
questa analisi se ne può ricavare.
Una tematica peraltro molto
implicita che è possibile rintracciare in più parti è il
confronto fra mondo occidentale e mondo arabo. L’attenzione del
narratore si accentua molto nel sottolineare che accanto alla
diversità fra una cultura e un’altra vi è comunque una
complementarietà, vi è comunque un cammino che si sviluppa
secondo modi e ritmi diversi, ma entrambi pieni di senso e di
valori. “Qamar – dice Leila, cugina di Qamar – non sono mai
stata in Occidente, ma non credo che queste cose vadano tanto
diversamente. Un uomo e una donna si incontrano e vibrano per un
po’, poi si conoscono, si accettano e camminano a lungo l’uno a
fianco dell’altra. I problemi stanno ovunque”. Nell’essenza,
nella quotidianità, nella vita concreta di ogni giorno, tutto il
mondo è paese diremmo noi, e non ci sono differenze fra una
cultura ed un’altra.
La protagonista ritrova in sé elementi
di arabità che si coniugano assieme alla sua cultura e modalità
di vita di donna occidentale. “Ora mi rassicuro che Giacomo
indossi la camicia ben stirata, lo inseguo per casa con un rotolo
appiccicato per togliere i pelucchi dal suo abito, gli preparo il
pranzo al sacco per paura che non mangi. Tracce di un’arabità
vissuta in modo del tutto originale, sempre in conflitto con
l’emancipazione della donna occidentale, cresciuta a ritmo di
marce femministe”.
Tuttavia quasi in netto contrasto con
questi intenti conciliativi si sviluppa la storia d’amore fra
Qamar e suo cugino Yousef. I due hanno giocato insieme da piccoli,
hanno scherzato, riso, e poi arriva il momento dell’adolescenza e
Qamar nell’ultima estate che trascorre ad Amman si innamora del
cugino. Anche questi è innamorato di lei. Si preannuncia una
storia d’amore, che, interrotta da eventi e tempo, sembra ad un
certo momento possa riprendere con pieno vigore, quando Yousef,
ormai adulto e Iman, arriva in Italia per una serie di conferenze
sulla cultura islamica. Questo amore però viene frustrato per il
secco rifiuto da parte di Yousef di riprendere anche minimamente
una traccia di confidenza e dar adito ad una infinitesima
possibilità di riprendere la storia d’amore. Emerge
l’impossibilità dell’amore. Sul piano narrativo la storia
affettiva fra Yousef e Qamar ha un esito totalmente negativo.
Il
senso di questo elemento narrativo è indizio dell’impossibilità
di un incontro, di uno sposalizio fra i due mondi culturali, quello
arabo e quello occidentale. Proprio il fatto che l’amore nato fra
i due non arrivi a concludersi positivamente pone di fatto
l’affermazione implicita della incommensurabilità fra le due
culture.
Sono indifferenti gli elementi narrativi che sostengono
l’impossibilità della perpetuazione dell’amore fra Yousef e
Qamar, il dato più significativo e determinante ai fini della
comprensione del significato del romanzo è proprio la mancanza
della continuazione del rapporto d’amore fra i due.
Strettamente
connesso a questo tema vi è quello della dialettica fra mondo
della fanciullezza e quello della maturità.
Il romanzo, penso
volutamente, pone in strutture parallele l’evoluzione della
crescita e del rapporto che Qamar ha col mondo arabo da bambina,
con quello del rapporto da adulta con Giacomo, suo convivente e
successivamente marito, con il quale cerca di dar luogo ad una
generazione nuova, cioè ad avere un figlio, che poi perderà prima
che possa nascere e diventerà l’elemento di crisi della
protagonista.
Il parallelismo, però poi si risolve in una
dialettica fra il tempo della fanciullezza- adolescenza e quello
della maturità, della vita adulta. Il primo che è fatto di
giochi, di piccole trasgressioni, di sapori, di profumi, di sole,
di polvere, si svolge ad Amman e viene contrapposto ad una vita da
fanciulla in occidente piena di regole e sotto molti aspetti
costrittiva; il secondo fatto di sogni frustrati, di paure, di
angosce, di incapacità di riconoscersi, di continue domande, di
contorsioni psicologiche.
E’ una dialettica fra i due tempi, e
fin qui siamo nella normalità della vita, dell’esistenza
dell’uomo, ma poi se si va a riflettere attentamente si constata
che il tempo libero della fanciullezza-adolescenza è descritto in
uno spazio e quello della maturità in un altro spazio; il primo in
una certa cultura e il secondo in un’altra. Allora la dialettica
ancora una volta si stabilisce fra i due mondi culturali che
confliggono fra di loro, conflitto che viene impersonato da Qamar,
la quale per cercare di ritrovare se stessa ha bisogno, adulta, di
rimmergersi nel mondo, nello spazio che l’ha vista crescere da
bambina. Non avviene una sintesi, perché ancora una volta Qamar
decide di riconquistare Giacomo, da cui s’era momentaneamente
separata e ritornare allo spazio dell’Occidente. Ancora una volta
è la descrizione narrativa ad affermare l’impossibilità di
coesistenza fra i due mondi.
Oltre tutto la arabità è
strettamente connessa a sogno, a libertà, a giochi, a cibo,
sapori, mentre l’occidentalità, pur nella sua emancipazione, è
intessuto di regole, di logica, anche se piena di libertà
personale, dal muoversi, al vestirsi, al rapportarsi agli
altri.
L’impossibilità di una sintesi, ancora sul piano
narrativo viene accentuato dall’esito della storia di
Aymad.
Questi è figlio piccolo di Leila cugina di Qamar. E’
l’unico maschio avuto dopo molte femmine. Qamar, entra in un
rapporto affettivo intenso con lui quando ritorna ad Amman. Leila
le fa la proposta di condurlo con sé in Europa per dargli una
possibilità di futuro migliore, certamente negato in Giordania
date le condizioni economiche della famiglia e di un rapporto
difficile con il padre. A Qamar non sembra vero, anche se decide di
rinunciare momentaneamente perché è sola e non si sente sicura di
poter curare questo ragazzetto.
Una volta sposatosi con Giacomo
e condotto quest’ultimo ad Amman perché conosca la famiglia che
era stata così importante nella sua crescita, si pone veramente il
problema se portar via il ragazzetto in Europa o lasciarlo alla
famiglia. Decidono di lasciarlo ad Amman dalla famiglia e di
aiutarlo economicamente negli studi.
Indipendentemente ancora
dalle ragioni, dalle logiche, dai sentimenti che non permettono che
si realizzi il trasferimento di Aymad in Europa, il fatto narrativo
denota ancora una volta l’impossibilità di una conciliazione fra
i due mondi, che devono procedere separati nel loro percorso e nel
loro destino.
Aymad rappresenta emblematicamente la possibilità
concreta di meticciare le due culture. L’esito della vicenda nega
ogni possibilità di questo genere.
Altri piani di lettura sono
possibili come ad esempio, il rapporto d’amore fra Qamar e
Giacomo, tutto giocato all’interno della cultura occidentale, ma
proprio per questo risoltosi positivamente.
Poi ancora quello
della ricerca del figlio, naturale dapprima, ma poi adottivo forse.
Ma ce ne possono essere ancora altri come il rapporto fra la
protagonista e la madre, quello di Qamar col territorio della
metropoli giordana.
Sul piano strutturale per buona metà del
libro si assiste ad una sorta di conduzione parallela e binaria,
con tempi sfasati, quello delle sue vacanze ad Amman e l’altro di
vita con Giacomo e della gravidanza, trasformatosi poi in aborto.
Sono posti in parallelo due maturazioni, la prima che sfocia nella
frattura della vita di vacanze di Qamar che non ritornerà più per
molti anni in Giordania, la seconda che sfocerà nella rottura con
Giacomo. Due storie parallele in due spazi diversi, ancora una
volta in una sorta di dialettica osservazione, entrambe concluse
con fratture e rotture. Ma mentre la prima non porterà a
riconciliazione, la seconda invece si risolverà
positivamente.
Anche quindi sul piano strutturale, la dicotomia
Occidente-mondo arabo continua ad esistere.
La cornice del
romanzo è dato dalla ritualità del caffè, tutta femminile e
corale, nonchè dai sensi nascosti che essa veicola, dalla
possibilità di una predizione. E qui siamo in totale immersione
del mondo arabo e islamico perché la realtà sembra quasi già
precostituita, l’uomo non farebbe altro che seguire quanto il
destino, o meglio Allah, ha già scritto per ciascuno di noi.
E’
indicativo il fatto che il libro si chiude con queste parole:
Bismillah arrahman arrahim” che vogliono dire “Nel nome di
Allah, Clemente Misericordioso”.Mi
pare che i testi, di qualunque natura siano, prodotti nel mondo
islamico in special modo dagli osservanti, dai più pii, partano
ancora oggi da un’invocazione ad Allah. Ciò avveniva anche nel
mondo occidentale fino all’epoca rinascimentale, quando si ebbe
la rottura e totale emancipazione dell’uomo rispetto alla
divinità.
La chiusura del romanzo rimarcherebbe con più
intensità le tracce di arabismo in questo caso di islamismo
presenti nel testo, contraddette però dalle strutture
narrative.
Gli elementi di dialettica interna, di contraddizioni
e contrasti fanno del romanzo di Widad Tamini un interessante e bel
libro segnato anche dalla delicatezza di descrizione delle varie
storie che si intrecciano.