Strage di ragazzini al confine tra Eritrea e Sudan
Tredici ragazzini, sette donne e
sei uomini, sono stati uccisi da raffiche di mitra dalla polizia di
frontiera Eritrea mentre cercavano di attraversare il confine con il
Sudan. E’ stata una strage a freddo, avvenuta verso al fine dello
scorso settembre, vicino alla piccola città di Karora, ma scoperta
soltanto tre mesi dopo, quasi alla vigilia di Natale.Proprio perché
è rimasto a lungo segreto, non sono chiare le circostanze del
massacro. Si sa per certo che le vittime, di età compresa tra i 13 e
i 20 anni, facevano parte di un gruppo di 16 giovanissimi che,
nascosti su un camion, si stavano dirigendo verso il Sudan,
accompagnati e sotto la scorta di una “passatore-guida”
ingaggiato dalle loro famiglie. Avevano scelto, per la fuga, una
delle vie più battute dai profughi, la cosiddetta “Ghindae-Port
Sudan Route”, che parte dal centro agricolo di Ghindae, nella
regione eritrea del Mar Rosso Settentrionale, e termina appunto a
Port Sudan, centinaia di chilometri più a nord.
Stando alla testimonianza resa a un
quotidiano online della diaspora eritrea da un testimone che, per
ovvie ragioni di sicurezza, chiede l’anonimato, i soldati hanno
aperto il fuoco non appena si sono resi conto che il camion stava per
varcare la frontiera, intuendo che a bordo dovevano esserci dei
profughi risoluti a scappare.
L’ordine della dittatura,
infatti, è di sparare a vista, mirando a uccidere, contro chiunque
tenti di espatriare clandestinamente, specie se si tratta di giovani
nell’età della leva militare. Come erano, in effetti, quasi tutti
i 16 ragazzi. Non c’è stato scampo: le raffiche hanno fatto
strage.
I corpi delle tredici vittime sono
stati recuperati dagli stessi militari e sepolti in segreto in una
fossa comune anonima, forse per cancellare ogni traccia e magari la
memoria stessa del crimine. Ignota la sorte dei tre superstiti.
Questa volontà di “negare tutto” è stata però smascherata dal
dolore e dalla forza di volontà di un padre, Tesfahanes Hagos, un ex
colonnello dell’esercito, invalido ed eroe della guerra di
liberazione contro l’Etiopia. Tra i morti ci sono anche tre delle
sue figlie – Arian (19 anni), Rita (16 anni) e Hossana, la più
piccola, appena tredicenne – fuggite insieme per cercare di
raggiungere la madre in Canada. Insospettito dalla prolungata, totale
mancanza di notizie, dopo circa un mese l’ex ufficiale ha
cominciato a indagare, ripercorrendo più volte la presumibile via di
fuga scelta dalle sue ragazze e bussando ostinatamente a mille porte,
senza arrendersi di fronte agli ostacoli e al muro di silenzio eretto dalla
polizia. Fino a che ha portato alla luce il massacro.
Si è scoperto, a questo punto, che
figli di ex militari erano anche quasi tutti gli altri ragazzi
trucidati: la maggioranza di loro veniva infatti dal Denden Camp, un
quartiere-villaggio di Asmara allestito per reduci e invalidi
dell’esercito e per le loro famiglie. Forse anche per questo il
segreto sulla strage era così rigido: la tragica fuga di quei
ragazzini dimostra che sono sempre più insofferenti al regime anche
i protagonisti della lotta che ha portato all’indipendenza
dell’Eritrea. “Una lotta tradita dalla dittatura di Isaias
Afewerki che si è insediata ad Asmara dal 1993”, denunciano i
principali leader della diaspora in Africa, in Europa e in America.