Charlie Ebdo e la bomba in Yemen: segnali di una guerra globale
I due gravissimi episodi accaduti ieri, 7 gennaio 2015, l’attentato alla redazione del giornale satirico Charlie Ebdo in Francia e l’autobomba a Sana’a, capitale dello Yemen, sono legati da un filo rosso. Rosso come il sangue di una guerra di civiltà.
Abbiamo chiesto alla giornalista Laura Silvia Battaglia di commentare gli episodi per capire bene cosa sta accadendo e la ringraziamo per questo suo contributo.
I due episodi di ieri, l’attentato a Parigi contro il giornale satirico Hebdo e l’autobomba a Sanaa in Yemen, contro l’accademia di polizia, entrambi costati la morte a giornalisti, civili, militari, ci dicono con chiarezza un paio di cose. La prima: che siamo in presenza di scenari mutati e sempre più cruenti nel nuovo assetto del Medio Oriente da una parte e dell’Europa dall’altra. La seconda: che da tempo sono in atto ma sono arrivate solo oggi a piena maturazione le previsioni di conflitto globale già in atto dal 2004 e che interessano oggi i civili, le religioni, la cultura, le tradizioni e mettono fortemente in crisi qualsiasi tipologia di convivenza e cosmopolitismo. Se in Oriente si è favorito il contrasto e la lotta tra sunniti e sciiti, presentandola come una questione squisitamente religiosa, in Occidente si sta stimolando l’odio, da una parte contro i musulmani tout court e migranti provenienti da queste aree, dall’altra contro le società democratiche che tendono a favorire una laicità che e’ diventata laicismo e sopportano i fenomeni migratori con leggi inadeguate e diffusi atteggiamenti ipocriti.
In entrambi casi, a farne le spese saranno le componenti sociali più a rischio: i giovani in Yemen e Medio Oriente e i migranti in Europa. Ma ciò che è più’ preoccupante è il solco che si traccia in mezzo, figlio di anni di bombardamenti, droni e detenzioni eccezionali da una parte e di incitamenti all’odio confessionale e culturale verso i kuffar (gli infedeli) dall’altra. In questo clima, occorre abbandonarsi meno alle opinioni e più ai fatti. Sospendere i giudizi non richiesti e le conclusioni affrettate ma, allo stesso tempo, non avere paura ad affrontare dettami, pregiudizi o incomprensioni sulla propria identità e su quelle altrui che possano mettere in pericolo la stabilità di un Paese e la convivenza civile.