Mahmud Darwish e il suo “Stato d’assedio”
Milano
19 gennaio 2015 ore 20.30 Teatro Verdi Lettura in concerto di Stato
d’Assedio di Mahmud Darwish
Milano,
lunedì 19 gennaio 2015 ore 20.30
presso il Teatro
Verdi, gentilmente
concesso
in via Pastrengo 16 – ingresso
libero
Prima parte
Lettura integrale in concerto del
poema:
STATO
D’ASSEDIO di Mahmud Darwish
con Anna
Delfina Arcostanzo e
Marco Gobetti
musica dal vivo Beppe
Turletti
Seconda parte
Intervento di Wasim
Dahmash, Mahmud
Darwish e la poesia araba
traduttore e curatore del poema
docente di Lingua e Letteratura
Araba all’Università di Cagliari
modera Alfredo
Tradardi (Ism-Italia)
Qui, sui pendii delle colline,
dinanzi al crepuscolo e alla legge del tempo
Vicino ai giardini
dalle ombre spezzate,
Facciamo come fanno i
prigionieri,
Facciamo come fanno i disoccupati:
Coltiviamo la
speranza.
Un paese che si prepara all’alba. Diventiamo meno
intelligenti
Perché spiamo l’ora della vittoria:
Non c’è
notte nella nostra notte illuminata
Da una pioggia di bombe.
I
nostri nemici vegliano,
I nostri nemici accendono per noi la
luce
Nell’oscurità dei sotterranei.
Qui, nessun “io”.
Qui,
Adamo si ricorda che la sua argilla
È fatto di polvere.
In
punto di morte, dice:
Non posso più smarrire il
sentiero:
Libero sono a un passo dalla mia libertà.
Il mio
futuro è nella mia mano.
Ben presto penetrerò nella mia
vita,
Nascerò libero, senza madre né padre,
E mi sceglierò
un nome di lettere d’azzurro…
Qui, fra spirali di fumo, sui
gradini di casa,
Non c’è tempo per il tempo.
Come chi
s’innalza verso Dio,
Dimentichiamo il dolore.
Nulla qui
riecheggia Omero.
I miti bussano alla nostra porta, se
vogliono.
Nulla riecheggia Omero. Qui, un generale
Scava alla
ricerca di uno stato addormentato
Sotto le rovine di una Troia
che verrà.
Voi, ritti in piedi sulla soglia, entrate,
Bevete
con noi il caffè arabo.
Sentirete che siete uomini come
noi.
Voi, ritti in piedi sulla soglia delle case,
Uscite
dalla nostra alba.
Ci sentiremo sicuri di essere
Uomini come
voi!
Quando gli aerei scompaiono, spiccano il volo le
colombe
Bianchissime, lavano la gota del cielo
Con ali
libere, riprendono il bagliore e il possesso
Dell’etere e del
gioco. In alto, ancora più in alto volano via
Le colombe
bianchissime. Ah, se il cielo
Fosse vero… (mi ha detto un uomo
correndo fra due bombe).
I cipressi, dietro i soldati, minareti
che s’innalzano
Per non far crollare il cielo. Dietro la siepe
di ferro
Pisciano i soldati – al riparo di un tank –
E la
giornata autunnale conclude la sua traiettoria dorata
In una
strada vasta come una chiesa dopo la messa domenicale…
(A un
assassino) Se avessi contemplato il volto della vittima
E
riflettuto, ti saresti ricordato di tua madre nella camera
A
gas, avresti buttato via le ragioni del fucile
E avresti
cambiato idea: non è così che si ritrova un’identità.
L’assedio
è attesa,
Attesa su una scala inclinata
Dove più infuria
l’uragano.
Soli, siamo soli a bere l’amaro calice,
Se non
fosse per le visite dell’arcobaleno.
Abbiamo dei fratelli
dietro quella spianata,
Fratelli buoni, che ci amano. Ci
guardano e piangono.
Poi si dicono in segreto:
“Ah! Se
quest’assedio venisse dichiarato…”
Lasciano la frase
incompiuta:
“Non lasciateci soli, non abbandonateci”.
Le
nostre perdite: da due a otto martiri, giorno dopo giorno.
E
dieci feriti.
E venti case.
E cinquanta ulivi…
Aggiungeteci
la perdita intrinseca
Che sarà il poema, l’opera teatrale, la
tela incompiuta.
Una donna ha detto alla nube: copri il mio
amato
Perché ho le vesti grondanti del suo sangue.
Se non
sei pioggia, amor mio
Sii albero
Colmo di fertilità, sii
albero
Se non sei albero, amor mio
Sii pietra
Satura
d’umidità, sii pietra
Se non sei pietra, amor mio
Sii
luna
Nel sogno dell’amata, sii luna
(Così una donna che
dava sepoltura al figlio)
O ronde della notte! Non siete
stanche
Di spiare la luce nel nostro sale
E l’incandescenza
della rosa nella nostra ferita,
Non siete stanche, ronde della
notte?
Un lembo di questo infinito assoluto
azzurro
Basterebbe
Ad alleviare il fardello di questo tempo
E
a spazzare via la melma di questo luogo.
Che l’anima scenda
dalla sua cavalcatura
E cammini con passi di seta
Al mio
fianco, mano nella mano, come due amici
Di vecchia data che
condividono il pane secco
E un bicchiere di vino della vecchia
vigna,
Per poter attraversare insieme questa strada.
Poi i
nostri giorni seguiranno sentieri diversi:
Io al di là della
natura, e lei,
Lei preferirà inerpicarsi su un’altra
vetta.
Siamo lontani dal nostro destino come gli uccelli
Che
fanno il nido negli anfratti delle statue,
O nella cappa del
camino, o nelle tende
Dove riposava il principe andando a
caccia.
Sulle mie macerie spunta verde l’ombra,
E il lupo
sonnecchia sulla pelle della mia capra.
Sogna come me, come
l’angelo,
Che la vita sia qui… non laggiù.
Quando si è
assediati, il tempo diventa spazio
Pietrificato nella sua
eternità
Quando si è assediati, lo spazio diventa tempo
Che
ha fallito il suo ieri e il suo domani.
Questo martire mi
assedia ogni volta che vedo spuntare un nuovo giorno
E mi
chiede: Dov’eri? Annota sui dizionari
le parole che mi hai offerto
E libera i dormienti dal ronzio
dell’eco.
Il martire mi spiega: Non ho cercato al di là della
spianata
Le vergini dell’immortalità, perché amo la
vita
Sulla terra, fra i pini e gli alberi di fico,
Ma era
inaccessibile, così ho preso la mira
Con l’ultima cosa che mi
appartiene: il sangue
Nel corpo dell’azzurro.
Il martire mi
avverte: Non credere alle loro storie
Credi a me, padre, quando
osservi la mia foto e chiedi piangendo:
Come hai potuto
scambiare le nostre vite, figlio mio,
Perché mi hai preceduto?
C’ero io, c’ero prima io!
Il martire non mi da tregua: mi
sono solo spostato
Con i miei mobili consunti.
Ho posato una
gazzella sul mio letto,
E una falce di luna sul mio dito,
Per
alleviare la mia pena.
L’assedio continuerà, per convincerci
a scegliere
Una schiavitù che non fa male,
In piena
libertà!
Resistere significa: accertarsi della forza
Del
cuore e dei testicoli, e del tuo male tenace:
Il male della
speranza.
In quel che resta dell’alba, cammino verso il mio
involucro esterno
In quel che resta della notte, ascolto il
rumore dei passi rimbombare al mio interno
Saluto chi come me
insegue
L’ebbrezza della luce, lo splendore della
farfalla,
Nell’oscurità di questo tunnel.
Saluto chi beve
con me dal mio bicchiere
Nelle tenebre di una notte che entrambi
ci avvolge:
Saluto il mio spettro.
Per me i miei amici
preparano sempre una festa
Da Dio, una sepoltura serena
all’ombra delle querce
Un epitaffio inciso nel marmo del
tempo
E sempre ai funerali li precedo correndo:
Chi è morto…
chi?
La scrittura, un cucciolo che morde il nulla
La
scrittura ferisce senza lasciar tracce di sangue.
Le nostre
tazze di caffè. Gli uccelli, gli alberi verdi
Nell’ombra
azzurrina, il sole che scivola di muro
In muro con balzi di
gazzella
L’acqua delle nubi dalla forma illimitata – tutto
quel che ci resta.
Il cielo. E altre cose dai ricordi
sospesi
Rivelano che questo mattino è potente splendore,
E
che noi siamo i convitati dell’eternità.