Siriani in transito: fotografare e documentare
Siriani in transito è il titolo della mostra fotografica a cura di quattro amiche, tre mediatrici e una fotografa, tutte con esperienze di vita in Siria, che hanno deciso di documentare l’accoglienza della città di Milano ai profughi provenienti da quell’area del mondo, attraverso il mezzo fotografico.
Le autrici del progetto sono: Marta Mantegazza, Anna Pasotti, Alessandra Pezza e Anna Ruggieri.
L’Associazione per i Diritti Umani ha intervistato, per voi, Marta Mantegazza e la ringrazia.
Come è nato e come si è sviluppato il progetto “Siriani in transito”?
Comincia con tre mediatrici interculturali io, Anna Pasotti e Alessandra Pezza, che dopo aver trascorso tutte un periodo di vita in Siria tra il 2007 e il 2010, abbiamo cominciato a seguire gli sviluppi storici del paese, l’inizio del conflitto e il conseguente esodo. Ci siamo poi impegnate nei centri di accoglienza a Milano come operatrici e volontarie, diventando così testimoni dirette dell’assurdo viaggio a cui l’UE costringe i siriani in fuga dalla guerra, già provati da anni di conflitto e di esilio nei paesi limitrofi.
Di fronte a storie simili e uniche al contempo, unite tutte dal non avere eco, è emersa l’esigenza di dar voce a queste persone per portare informazione sul viaggio da loro compiuto. Per farlo si è pensato ad uno strumento semplice, efficace e facilmente diffondibile: la fotografia. Grazie alla collaborazione di una fotografa, Anna Ruggieri, nasce così il progetto Siriani in transito, che pone l’accento sui siriani ma che è trasversale a tutti i profughi di guerra.
Per raccontare il viaggio dei siriani all’interno della comunità europea, si è deciso di ripercorrerlo idealmente, sintetizzandolo in tre tappe simboliche: la Sicilia, e Catania in particolare, scelta come punto di approdo in Europa; Milano, come punto di snodo tra il sud e il nord Europa, e la Svezia, nelle città di Malmö e Jönköping, come meta finale scelta da molti siriani.
Le persone incontrate hanno raccontato il loro viaggio in un’intervista aperta e sono state scattate loro delle fotografie che potessero rappresentare simbolicamente la loro situazione a quel punto del percorso.
Per proteggere l’identità delle persone incontrate, non c’è corrispondenza diretta tra i frammenti di storie scelti e le fotografie che le accompagnano, e tutti i siriani restano anonimi. Alcune delle persone fotografate hanno chiesto di non essere riconoscibili nelle immagini, e hanno quindi il volto parzialmente coperto. Tutto il materiale è stato raccolto previa firma di una liberatoria bilingue arabo – italiano.
Intrecciando racconti e immagini si vuole raccontare una storia collettiva che possa far nascere una nuova riflessione sui processi di accoglienza e di inclusione in Europa.
Alla base del progetto c’è la convinzione che si debba avere il diritto di scegliere il paese in cui si vuole vivere, che la libertà di circolazione sia un diritto e che debba dunque avvenire con mezzi sicuri e legali e che, dunque, ci debba essere in tal senso una diversa politica nazionale ed europea.
Quali sono gli ostacoli che l’Ue pone per l’accoglienza dei profughi?
L’Unione Europea ha una normativa relativa al diritto di asilo valida per i tutti gli stati membri, data dal Regolamento di Dublino. Questo prevede che si possa presentare domanda di asilo politico in un paese, solo se ci si trova già nel paese stesso; le domande di asilo, inoltre, devono essere chieste necessariamente nel primo paese europeo in cui si arriva. Non lo si può chiedere tramite le ambasciate e i consolati, dunque per arrivare in Europa si viene costretti a viaggi illegali e pericolosi. Non si può così scegliere dove ricostruire la propria vita, ma le rotte percorribili fanno sì che i paesi di confine della fortezza Europa siano quelli a cui arrivano più persone e dunque ipoteticamente più domande di asilo. La normativa da applicare è europea, ma paradossalmente il diritto ottenuto con lo status di rifugiato ha valenza solo nazionale, del paese in cui lo si è ottenuto, e non è trasferibile in altri paesi membri, dove si può andare solo viaggiando grazie a un visto Schengen.
Milano è stata (e continua ad essere) una città che cerca di prendersi cura di queste persone in transito…
L’Unione Europea stanzia dei fondi agli stati membri per le emergenze umanitarie, questi sono suddivisi poi dallo stato sulle singole prefetture. Il Comune di Milano è stato l’unico che ha contattato la prefettura di riferimento perché questi fondi venissero usati nella gestione di centri d’accoglienza per permettere a chi viaggia di fare una tappa. Milano luogo di ristoro, di cambio d’abiti, notte al chiuso, pasti caldi, possibilità di andare in bagno, di avere una visita medica, di far giocare dopo tanto tempo i bambini in uno spazio a loro adibito. Milano è snodo di dispersione verso le molteplici mete del nord e centro Europa, è tappa di attesa per riprendere energie e attendere i soldi dai familiari per proseguire il viaggio. Milano è inevitabilmente in quanto tale anche parcheggio per i trafficanti, paradosso reso necessario dalle normative europee affinché queste persone continuino il loro viaggio. Dall’altra parte Milano ha visto fiorire un impegno civile volontario vastissimo, dall’accoglienza in stazione centrale a quella nei centri, a chi porta vestiti, a chi si impegna per creare spazi di attività quali un torneo di calcetto, alle psicologhe dell’università cattolica che hanno avviato un progetto sulla resilienza nei bambini profughi di guerra.
Quali sono le aspettative dei profughi che avete intervistato e fotografato?
Quasi tutti i siriani che abbiamo incontrato hanno il sogno di tornare nel proprio paese. Fintanto che ciò non sarà possibile vogliono poter vivere serenamente. Forte e dichiarata nei ragazzi ventenni scappati dal militare è la voglia di continuare i propri studi universitari. Ricorrente è il desiderio di poter ricongiungere i propri familiari ancora in Siria, Libia ed Egitto.
C’è poi la speranza per molti siriani palestinesi di ottenere finalmente una cittadinanza e porre così fine al loro status di apolidi.
Avete seguito anche alcuni di coloro che sono riusciti ad arrivare in Nord Europa, soprattutto in Svezia: ci puoi raccontare una delle loro storie?
M. ragazzo di 19 anni, intraprende dall’Egitto il viaggio con il fratello. Obiettivo: raggiungere la sorella già in Svezia. In Italia però vengono fermati nei pressi di Torino, il fratello riesce a scappare ma a M. vengono prese le impronte con la forza. Non gli spiegano che questo comporta l’obbligo della domanda di asilo in Italia e lui prosegue il suo viaggio. Passa tre mesi insieme alla sorella in Svezia, mentre il fratello è arrivato e si è stabilito in Germania. Gli viene poi detto che non può chiedere asilo in Svezia e viene riportato in Italia dove passa alcuni mesi, da solo a fare nulla, sconfortato. I suoi semplici desideri sono quelli di poter stare coi fratelli, continuare gli studi da ingegnere e ritrovare la ragazza di cui si è innamorato durante il viaggio. A un mese dal colloquio per ottenere lo status a Torino, lascia definitivamente l’Italia e la possibilità di diventare rifugiato decidendo di inseguire i suoi sogni.