Che ti sia lieve la terra: donne, stranieri e identità
“Nur tentava di rispondere con disinvoltura, ma non era a proprio agio. Continuava a ripetersi: «Questa ragazza è lesbica» e questo pensiero le rendeva difficile concentrarsi sul discorso.
Notò subito, che al contrario del 99% delle donne libanesi, non portava lo smalto e istintivamente nascose le proprie unghie laccate nel palmo della mano. Le guardò i piedi «niente scarpe coi tacchi» e i capelli «niente messa in piega, niente colore». Poi si accorse che stava fissando con insistenza il ciondolo che la ragazza aveva al collo, due specchi di venere intrecciati che si insinuavano nell’incavo di un seno ben fatto e abbondante”.
Olivia, Irena, Nur, ognuna affronta la propria trasformazione. Tre figure che ci raccontano del presente e di memorie lontane sospese tra i Balcani, l’Italia e il Libano. Le loro storie si alternano e si intrecciano, si rincorrono lungo il bordo orientale del mar mediterraneo, tessendo una trama che unisce l’Occidente al Medioriente.
Questa la traccia per il romanzo di Camilla De Concini (Youcanprint) intitolato “ Che ti sia lieve la terra”.
Abbiamo rivolto alcune domande all’autrice e vi consigliamo di guardare il booktrailer a seguire…
Quattro donne, di cultura e nazionalità diverse, tra Occidente e Medioriente: che cos’hanno in comune?
Le quattro protagoniste del romanzo sono figure femminili forti, autonome, determinate, tre donne e una bambina che non si mettono sotto l’ala protettiva di uomo ma che agiscono e si espongono in prima persona. Tutt’e quattro si trovano a un certo punto a dover prendere in mano la propria vita e nessuna di loro si tira indietro. Le accomuna anche un profondo desiderio di verità, per Nur e per Irena si tratta di scoprire e affrontare, verità scomode che emergono dal passato, per Nima’t e Olivia significa invece manifestarsi per quello che sono senza nascondere anche gli aspetti più “sconvenienti” della propria storia e identità.
Altro elemento che le unisce è il fatto di muoversi in un ambiente a volte disagevole a volte semplicemente inusuale e in qualche modo estraneo.
Irena e Nur affrontano entrambe situazioni nuove che le costringono a confrontandosi con le proprie paure e i propri limiti
la prima si mette in viaggio da sola con una pianta come unica compagna. Quando è alla guida della sua panda verde oliva sente la propria solitudine come una sorgente di forza e libertà, ma quando la vede riflessa nello sguardo degli altri la percepisce come qualcosa di triste, quasi squallida.
Nur, donna libanese e madre di una famiglia aperta ma tradizionale, inaspettatamente cerca e scopre la comunità lesbica beiruttina con un sentimento ambivalente di curiosità e disagio.
Nima’t e Olivia invece vivono entrambe l’esperienza della migrazione.
La prima è arrivata in Emilia da bambina – insieme alla famiglia – fuggendo da una Beirut divisa e occupata , Olivia invece lascia improvvisamente Bologna e atterra in Libano, catapultata in una nuova vita, scopre pian piano la città, il cibo, la lingua, la gente, ripercorrendo al contrario il viaggio migratorio di sua madre.
Ognuna di loro ha subito una perdita importante e cerca quindi di ristabilire nuovo equilibrio nella propria vita. Irena Olivia e Nur hanno tutte perso una persona molto amata, il lutto è il motore che innesca un profondo processo di trasformazione.
La figure femminili del suo romanzo rovesciano anche alcuni stereotipi sulle donne arabe?
Sì, il ribaltamento degli stereotipi è parte importante dell’urgenza che ho sentito nello scrivere questo romanzo.
Che ti sia lieve la terra è nato a Beirut città che amo e in cui ho vissuto per quattro anni.
Lavorando come cooperante, prima di finire in Libano mi ero sempre detta che non volevo andare a vivere in un paese mussulmano, ero infarcita di pregiudizi nati dall’immagine tristemente stereotipata e uniformante che i nostri media diffondono sul Medioriente e sull’islam.
Pensavo che come donna mi sarei sentita terribilmente a disagio in un territorio che immaginavo oppressivo e privo di libertà per le appartenenti al mio genere e come lesbica ero certa che avrei dovuto nascondermi e fingere in tutti i miei rapporti interpersonali.
In Libano ho trovato invece anche una società civile attiva, persone in lotta per creare uno stato laico, donne forti, determinate e consapevoli e uomini rispettosi, ho scoperto una comunità di femministe e di lesbiche che mi hanno accolta e coinvolta nelle proprie pratiche politiche. Non mi aspettavo niente di tutto ciò! Questo romanzo quindi nasce anche dal desiderio di rovesciare gli stereotipi con cui sono arrivata a Beirut e di permettere alle lettrici e ai lettori di scoprire una città e un paese che non immagineremmo così.
Qual è il rapporto tra le protagoniste, gli uomini e la società ?
Ho cercato di raccontare di donne che abbiano con gli uomini un sano rapporto paritario, estranee a dinamiche di dipendenza o di possesso. Le protagoniste amano gli uomini presenti nella loro vite in maniera “pura” perché non sono legate a loro dalla necessità. Le relazioni si basano quindi su una libertà che nasce dalla scelta quotidiana e non da consuetudini, o paure.
Nima’t, per esempio, ha creato con Pietro un rapporto basato sul piacere, tra loro – data la distanza fisica – non ci sono vincoli di esclusività ne’ aspettative di stabilità/responsabilità. Quando rimane incinta non pretende che Pietro diventi padre ed anzi e contraria a che lui assuma quel ruolo, per un senso di dovere legato alla morale comune. Olivia ha quindi un padre biologico che considera più un amico adulto o uno zio lontano piuttosto che un genitore. Entrambe sono serene nel rapporto con lui. Le difficoltà sorgono invece nel confronto con gli altri, la loro libertà interiore si scontra con una società che tende a normare le vite private dei cittadini finendo per imporre delle etichette a volte scomode a volte dolorose sulle protagoniste e sulle loro scelte.
Anche Nur, che vive un rapporto più “tradizionale” col marito, esprime un’autonomia che le permette di confrontarsi con Nuad su ogni questione senza sentirsi vincolata a seguirne i consigli o ad abbracciarne il punto di vista. In generale tutti i personaggi del romanzo hanno costruito con gli altri rapporti di rispetto che li porta a relazionarsi positivamente tra loro anche quando non condividono le reciproche posizioni.
Nel testo è centrale il tema del viaggio e quali sono gli altri argomenti veicolati dalle storie?
Nel romanzo sono molti i temi che si intrecciano e spesso è difficile dire quali siano i temi principali e quali i secondari. Come accennavo prima sicuramente il lutto e il suo superamento è uno dei temi da cui è nato il desiderio di scrivere questo romanzo, mi interessava interrogarmi su come percepiscono oggi le persone il tempo che passa, l’invecchiamento, la morte, perché mi sembrano questioni che nell’occidente contemporaneo vengono messe da parte o addirittura negate.
Importante per me era anche parlare delle nuove forme di famiglia siano esse famiglie monogenitoriali o omogenitoriali, perché nonostante in molti contesti siano tutt’ora viste e percepite come eccezionali o problematiche, nella mia esperienza sono invece “banalmente” normali.
Nello scrivere questo romanzo mi interessava anche raccontare di conflitti, guerre, migrazioni, come di situazioni che per molte persone rappresentano la quotidianità.
Ho tentato di affrontare questi temi senza entrare nella sfera del giudizio, ma presentando invece i diversi punti di vista dei personaggi sulle questioni, non per mancanza di un’opinione personale o per evitare di “prendere posizione” quanto per invitare le lettrici e i lettori a un dialogo aperto su gli argomenti.
E’ anche una riflessione su come gli stranieri vedono il nostro Paese…
È difficile per me immaginare come gli stranieri vedano il nostro paese, sono italiana e per quanto possa aver viaggiato o vissuto altrove anche per lunghi periodi, non posso negare il fatto che sono nata e cresciute qui, nel mio paese d’origine. Il fatto di aver vissuto all’estero fin da bambina però mi ha fatto incontrare “l’altro” già da piccola e spesso mi ha anche messo nella posizione di essere io “L’altro”, l’outsider. Credo che chiunque si trovi a vivere in un paese straniero porti dentro di sé la sensazione di essere straniero in ogni luogo, un sentimento che a volte rende difficile “tornare a casa” o anche solo capire dove sia “Casa”.