La Carta di Roma: il giornalismo e il “razzismo della parola”
(da
associazionecartadiroma)
Carta di
Roma: il giornalismo e il razzismo della parola”:
è questo il titolo della tesi di laurea discussa nel luglio 2013 da
Roberta Picchi,
studentessa del corso di laurea specialistica in Scienze
dell’informazione, della comunicazione e dell’editoria presso
l’Università di Roma Tor Vergata. Relatore del lavoro di tesi
Giuseppe Federico Mennella,
già capo ufficio stampa del Senato, e professore di deontologia
della professione giornalismtica presso l’Università di Roma Tor
Vergata; co-relatore Marco
Frittella, giornalista RAI
e docente di Giornalismo politico e radio-televisivo presso la
seconda Università di Roma.
Impegnati come siamo a filtrare la
miriade di informazioni che ogni giorno riceviamo, molto spesso non
abbiamo tempo di soffermarci a riflettere sulle modalità narrative
messe in atto per far arrivare l’informazione, per renderla più
“attraente”. Ancor peggio, gli stessi operatori
dell’informazione non hanno il tempo di uscire dal paradigma
dominante, di guardare le cose da una prospettiva diversa e
riflettere un attimo sui termini che vengono associati quasi
automaticamente, d’istinto a determinate notizie. Si ricade così
in un’informazione che conferma gli stereotipi, spesso negativi,
del sentire comune e non consente una lettura equilibrata dei
fenomeni sociali.
Cosa succede quando questo
atteggiamento dei media si applica ad un tema delicato come quello
dell’immigrazione? Uno degli aspetti più complessi del fenomeno
migratorio è proprio la sua rappresentazione mediatica perché,
come è noto, i mezzi di informazione esercitano un’influenza
diretta sull’opinione pubblica. Come si comporta il mondo
dell’informazione nei confronti delle persone migranti? Sono
rappresentate allo stesso modo degli autoctoni? Oppure nel caso
degli stranieri c’è una tendenza a enfatizzare alcuni aspetti e
ignorarne altri? Le parole utilizzate per parlare di migranti sono
discriminatorie? C’è spazio per una lettura che vada oltre gli
stereotipi?
Alcuni fatti confermano la
facilità con cui la società sia portata a demonizzare lo
straniero, il diverso: ricorderemo tutti come, a poche ore dalla
strage di Erba, si scatenò la caccia a Azouz Marzouk, ritenuto
l’autore della strage solo perché tunisino; Mohammed Fikri fu
incarcerato con l’accusa di aver ucciso la giovane Yara Gambirasio
per un’intercettazione tradotta male; a Rignano Flaminio, Kelum Da
Silva fu accusato e incarcerato sulla base di due testimonianze
inverosimili; a Perugia Patrick Lumumba passa 14 giorni in carcere
per un SMS tradotto male.
Un fatto di natura diversa
fornisce una risposta negativa alle questioni poste poc’anzi.
L’adozione della Carta di
Roma nel giugno 2008 è
“un’ammissione di colpevolezza” da parte del giornalismo
italiano: con il Protocollo
deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della
tratta e migranti i
giornalisti italiani hanno preso coscienza di dover restituire una
rappresentazione obiettiva dei fenomeni migratori, libera da
stereotipi e pregiudizi che alimentano i conflitti all’interno di
una società meticciata. Sì perché l’immigrazione è oramai un
carattere strutturale della società italiana e non ha quindi senso
parlare di “emergenza, allarme immigrazione”: è un fenomeno
risalente agli inizi degli anni Settanta dello scorso secolo a cui
l’Italia non ha saputo dare un’organizzazione dapprima
legislativa e poi sociale, economica e culturale.
Dal campo del giornalismo la
questione si sposta dunque sul piano politico-legislativo: se in
fondo i media sono lo specchio della società, allora la
rappresentazione mediatica dell’immigrazione non è solo un
problema di modalità narrative e termini utilizzati con troppa
leggerezza ma ha radici profonde, in un contesto politico che,
impegnato da altre incombenze, ha impostato politiche di corto
respiro, inadeguate per l’integrazione e il contrasto delle
discriminazioni.
D’altra parte, la situazione
italiana è speculare all’assenza di un approccio giuridico
internazionale alle migrazioni: a differenza di altri campi di
azione in cui gli Stati hanno dato vita ad accordi sovranazionali,
per l’immigrazione non si è mai stabilita un’agenda giuridica
internazionale coerente e sistematica. La mancanza di un
coordinamento legislativo internazionale in materia di immigrazione
ha prodotto quindi un peggioramento dei diritti dei migranti.
Se, da un lato, occorrono
politiche volte a favorire l’inserimento dei cittadini stranieri
all’interno del tessuto sociale ed economico, dall’altro è
necessario sensibilizzare la società italiana a una cultura diversa
orientata all’apprezzamento dei valori e delle conoscenze di cui
gli stranieri sono portatori. Nel fare ciò, un ruolo fondamentale è
svolto proprio dai media che, restituendo una rappresentazione
equilibrata del fenomeno migratorio, possono facilitare
l’integrazione tra le diverse culture.
A distanza di sei anni dalla
sottoscrizione della Carta
di Roma qualcosa è
cambiato nel giornalismo italiano: oggi i media dimostrano una
maggiore sensibilità verso la rappresentazione dei migranti, una
sensibilità che passa innanzitutto attraverso l’utilizzo di un
linguaggio meno discriminatorio. Nonostante questo passo avanti,
sono ancora molti gli aspetti da migliorare. Restano i pregiudizi
prodotti da anni di politiche criminalizzanti degli immigrati: per
l’italiano medio lo straniero che arriva in Italia ruba il lavoro
agli autoctoni, ha un alto tasso di criminalità, accetta di
lavorare in nero per pochi euro penalizzando così il lavoratore
italiano, non paga le tasse.
L’immigrato vive in Italia in
una duplice dimensione: o è troppo visibile o è troppo invisibile.
Solo quando la società, la politica e i media riusciranno a trovare
un punto di equilibrio sull’immagine dei migranti potremo dire di
aver raggiunto la piena attuazione di quell’uguaglianza enunciata
nell’articolo 3 della nostra Costituzione repubblicana.
La versione integrale della Tesi
di Laurea di Roberta Picchi è scaricabile qui: