Sguardi mediterranei di donne
di
Ivana Trevisani
uno sguardo di donna scruta il mondo, sempre si posa sulla vita,
anche se la realtà a cui guardare è quella belligerante dei
conflitti armati e degli scontri esplosivi tra diversità rese
irriducibili.
quanto ancora una volta si è realizzato a Milano lo scorso novembre,
all’incontro promosso dall’Associazione Blimunde “Sguardi
di donne sui fondamentalismi e i conflitti in medio-oriente”,
nello scambio di riflessioni tra le donne al tavolo di relazione: la
cooperante italiana Irene Viola, l’operatrice sociale libanese Tamara
Keldani, la Tunisina Ouejdane Mejiri da anni in Italia, insegnante al
Politecnico di Milano e la Siriana Souheir Katkhouda, da vent’anni in
Italia presidente delle donne musulmane d’Italia.
di loro, nonostante il titolo, ha scelto di parlarci delle pratiche
di vita che le donne stanno comunque agendo nei luoghi associati
ormai soltanto, nei media e nell’immaginario collettivo occidentali,
ad azioni di morte.
queste donne, da sempre attive nel politico sociale dei loro Paesi e
in Italia, non hanno ingenuamente rimosso la questione della violenza
dilagante, ma l’hanno riletta nel registro dell’articolazione
piuttosto che in quello del giudizio sbrigativo.
Viola, con il video dell’agricoltrice libanese Elham, che mostra
fiera i frutti della sua attività agraria di cui sottolinea la
rilevanza per una possibile ripresa di vita di una società,
un’economia e un ambiente devastati dalle guerre infinite che hanno
attraversato il Libano, ci ha riportate alla straordinaria potenza
delle donne per l’amore e la cura della terra, che genera vita ed è
amore per il mondo. Ma Elham ha voluto anche non scivolare sul valore
di rela zione tra donne che sanno comprendersi e camminare insieme,
confermandone anzi energicamente la straordinaria rilevanza nel
ribadire la portata, per lei vitale,
dell’incontro
con il lavoro della cooperante Viola, di quella
cooperante,
che le ha consentito di pensare, progettare e realizzare il suo
proposito di nuova vita
dopo
le lacerazioni patite da lei e dalla gente nel suo Paese.
da parte sua, attraverso la restituzione di senso del lavoro sulla
differenza sessuale, soprattutto
nelle zone rurali del Libano,
con la sua associazione Les
Amis des Marionettes, ci
ha rivelato come agendo attraverso il simbolico di giochi di ruolo,
sia stato possibile radicare nei vissuti
di ragazzi e ragazze partecipanti ai laboratori, il senso e il valore
di tale differenza e la potenza dell’essere donna.
ha voluto inoltre sottolineare come, muovendo dalla consapevolezza
guadagnata grazie al progetto dai dalle adolescenti coinvolti,
abbiano potuto di rimbalzo consolidarsi anche nel quotidiano delle
comunità, il riconoscimento concreto e non di semplice adesione
convenzionale alla consuetudine, la convinta certezza che la donna è
il pilastro della famiglia e che reggendo l’equilibrio della famiglia
può contribuire
all’equilibrio dell’intera società. Restando a tema, quanto alla piaga
dei matrimoni precoci, indistintamente
tutte tutti gli allievi delle scuole coinvolte dai laboratori,
hanno saputo con grande lucidità e maturità indiividuare e indicare
il danno sociale di una pratica che, non permettendo alla madre
troppo precoce di sviluppare appieno il senso di sè, non le consente
di educare con pienezza i figli, non potendo trasmettere loro il
sentimento della propria identità. E poichè la questione
dell’identità è un problema di non poco conto nel tessuto
frammentato, lacerato, interrotto dell’attuale società libanese, ne
consegue l’enorme portata del guadagno trasmesso per genealogia
femminile di quel senso di identità e radicamento a sé che consente
di eludere le spinte a derive identitarie rigidamente arroccate a
qualsivoglia ideologia totalitaria.
seguire, Katkhouda ci ha partecipato il suo impegno non solo nel
“soccorso” e nell’accoglienza dei suoi, delle sue connazionali in
fuga dalla Siria, ma anche e forse soprattutto, stante il sistema
informativo del nostro Paese, nel persevante, instancabile lavoro di
presenza-testimonianza in ogni occasione possibile, per ricordare a
un pubblico disattento e male informato, la tragedia che nel suo
paese d’origine sta continuando a consumarsi e a consumare le vite di
un intero popolo. Kathouda, presidente delle donne musulmane in
Italia, non ha dissertato su veli, arroccamenti o strumentalizzazioni
religiose, ma ha detto di sé, di come sta nel mondo, ci ha
testimoniato del suo infaticabile impegno ad aprire sempre più
fessure nel silenzio che uccide, anche più delle armi, quello che
continua a sentire come il suo popolo e ci ha restituito intera la
sua potente autorevolezza.
concludere, Mejri nel suo intervento ha con forza sottolineato la
realtà, pressochè ignorata dal sistema mediatico italiano,
dell’agire positivo delle donne al centro del ritrovato protagonismo
dell’intera società civile tunisina. E’ stato soprattutto il
protagonismo delle donne, ha voluto ribadire Mejri, a sostenere il
processo di partecipazione sociale alle ultime tornate elettorali, le
parlamentari prima e le presidenziali successivamente. Un impegno che
ha consentito l’evoluzione politica di avvicendamento, da Ennhada, il
precedente governo di cifra religiosa, al nuovo governo non
religiosamente orientato. Non solo la presenza attiva delle donne, ma
l’intero processo di alternanza che hanno saputo sostenere, sono
stati solo sfiorati dal nostro sistema mediatico, forse troppo
allineato alla “dittatura
del pensiero occidentale”,
parole di Mejri, senza troppi dubbi condivisibili.
la positività sia la cifra dell’agire delle donne non è certo
sogno, ma costituente del reale, è tuttavia possibile riconoscerla
solo se si apre lo sguardo,
se
oltre l’evidenza
si
accetta di entrare nel profondo
delle
vicende dove le donne si giocano,
scoprendo
da dove nascono e verso dove procedono.
la forza e l’eccellenza femminile è possibile a patto di affinare
la
capacità
di
ascolto
necessario e prepararsi a uno sguardo più attento, di aprire la
disponibilità autentica “a
guardarci l’una con l’altra, a restituirci vicendevolmente
l’immagine della nostra eccellenza, a riconoscere la loro e la
nostra”, per
dirlo con le parole della filosofa Diana Sartori. E “saper
fare da specchio all’altra, lì in quel che sta facendo lei, come
noi” pur
nelle diversità di eccellenza di donna,
consente
di riconoscere lei e noi stesse.
scostarsi dai luoghi comuni e dai pre-giudizi che le vogliono e
vedono unicamente oscure donne schiacciate da guerre maschili e da
veli inflitti, e
che le rendono di fatto evanescenti, le donne dell’altra sponda del
Mediterraneo in questo incontro, per dirsi e dirci di sè
hanno scelto di eludere la contrapposizione e preferito offrirci la
proposta di esperienze e pratiche concrete di vita. I frammenti di
storie, vissute in proprio o incontrate in altre donne, dispiegati
all’attenzione delle persone presenti, erano tutti con forza
orientati a ribadire che, come già la filosofa Hanna
Arendt sosteneva, non si è libere da una condizione data, ma si è
libere nell’apertura di senso di quella condizione.
considerazioni esposte dalle
relatrici,
accompagnandone le narrazioni, hanno voluto ricordare come le potenti
storie di donne offerte al nostro ascolto, più comuni di quanto si
voglia o possa credere in Occidente, ci possono insegnare a spostare
la prospettiva di lettura, a non concentrarsi sul dolore ma a
proiettare uno sguardo diverso sulla tragedia, per trovarvi comunque
la vita.
le testimonianze dipanate dalle donne nel corso dell’incontro con le
parole della riflessione di Sartori è plausibile concludere che “in
questa urgenza presente, quando la misura maschile mostra la sua
incapacità a fare ordine, e quella femminile in questo passaggio si
pone come ordinatrice di realtà e
finalmente
si pone la questione di quale è la misura in un mondo davvero
comune”, si
può ri-trovare la vita: nella parola, nello sguardo, nelle pratiche,
nella misura di donna.
a partire da sé e tutte indistintamente, sempre usando le sue
parole, hanno voluto e potuto ancora una volta ricordarci che
“se
noi donne non sapremo esporci al mondo come misura, il mondo non avrà
misura.