E dei figli che ne facciamo?: l’inclusione dei figli degli immigrati e la segregazione formativa
E
dei figli, che ne facciamo? L’integrazione delle seconde
generazioni di immigrati è
il titolo del saggio
di Marco
Orioles – sociologo
presso le Università degli Studi di Udine e di Verona –
edito da Aracne in cui il Professore analizza i problemi legati
all’inclusione dei giovani, dei figli degli immigrati che vivono una
doppia identità: quella del Paese d’origine dei propri genitori e
quella legata al Paese in cui studiano e vivono. L’aspetto sociale,
culturale e religioso; i loro sogni; ma anche l’incapacità
dell’Italia – e dell’Europa – ad offrire nuove opportunità. Questi e
altri gli argomenti e le riflessioni importanti suscitate dal testo.
Ne
abbiamo parlato con il Prof. Orioles che ringraziamo molto.
In
che modo si possono convincere i figli degli immigrati che il
progetto europeo riguarda anche loro?
Innanzitutto
chiarendo a noi stessi le idee su chi siamo e su che tipo di Europa
vogliamo costruire. Anche i figli degli immigrati – che conoscono
benissimo l’italiano e seguono gli stessi strumenti della
comunicazione, gli stessi media – sono consapevoli che c’è un
dibattito lacerante all’interno del vecchio continente, che siamo
spaccati, che tutte le strutture politiche tradizionali sono
assediate da movimenti, più o meno nuovi, che hanno idee alternative
rispetto alle politiche che dovrebbero caratterizzare l’Europa. Se
abbiamo alcuni esponenti delle seconde generazioni che non trovano
una collocazione, lo si deve anche al fatto che noi stessi cittadini
autostoni non sappiamo che tipo di collocazione abbiamo all’interno
di questa Europa.
Quanto
è importante il settore dell’istruzione nell’inclusione dei ragazzi
di origine straniera?
Questa
è una domanda nevralgica. Quando gli studiosi hanno preso atto che
l’immigrazione è un fenomeno non transitorio, ma permanente e
strutturato, hanno subito puntato l’attenzione sulla scuola: è a
scuola che si gettano le fondamenta dell’integrazione. Mentre gli
studiosi elaboravano sofisticate teorie sull’interculturalità, si
cominciava a manifestare un problema serio: cioè che le scelte
scolastiche dei figli degli immigrati divergono da quelle dei ragazzi
autoctoni. Questo fenomeno è stato definito dai sociologi
“segregazione formativa”, ovvero la maggior parte dei ragazzi di
origine straniera sceglie gli istituti professionali, gli enti di
formazione professionale, gli istituti tecnici e, solo in minima
percentuale, i licei. Questo dato – confermato negli anni dal
Ministero – ci dice che si sta creando una divaricazione di percorsi
e di destinazioni: da un lato abbiamo gli italiani che, avendo più
risorse in termini di capitale sociale – culturale ed economico,
possono scegliere dei percorsi che sboccano nell’iscrizione
all’università e in profili professionali che meglio si attagliano
alle caratteristiche della struttura economica contemporanea;
dall’altro lato, invece, abbiamo gli stranieri per i quali le
aspettative sono più basse e prevale un certo pragmatismo, con
l’obiettivo di avere un titolo immediatamente spendibile nel mondo
del lavoro.
Cosa
offre l’Isis ai giovani di nuova generazione, per reclutarli? E qual
è l’obiettivo principale?
è un tema centrale, sebbene sia scorretto sovrapporre la questione
“nuova generazione” alla questione “Isis” anche perchè, in
Italia, stiamo parlando di quasi un milione di ragazzi di provenienza
diversa, ad esempio mi riferisco ai sudamericani.
Il
fatto, però, che ci siano 4000 giovani di confessione musulmana
europei che hanno scelto di abbracciare una causa disumana e barbara,
fa riflettere. Fa riflettere perchè, se uno studia cosa stanno
facendo gli europei al servizio del califfo, scopre che loro hanno
aderito a una missione “nobile”: il califfato sta restaurando un
mito, che è iscritto nel codice genetico dell’Islam.
Dopo
le umiliazioni secolari del declino dela civiltà musulmana e dopo la
sconfitta dell’Impero Ottomano, un gruppo di sanguinari spregiudicati
sta rivoltando il Medioriente, mettendo sulla scena internazionale
l’ingresso dirompente del califfato. Questo è un magnete per i
musulmani europei i quali da un lato sono esposti da tempo a una
strategia di “reislamizzazione” e dall’altro hanno poche
alternative perchè noi non riusciamo a dare loro qualcosa in cui
credere.
base, quindi, c’è sempre il problema dell’identità…
tema dell’identità è al centro della riflessione e non solo della
sociologia. Siamo in un momento storico particolare: dopo la caduta
del muro di Berlino è mancata la dinamica culturale e politica
fondamentale che era data dalla contrapposizione tra due identità:
occidentale e orientale, capitalismo e socialismo. Caduta questa
dinamica centrale, oggi ci troviamo di fronte a un mondo in cui siamo
un po’ confusi e ritornano in primo piano le identità etniche e di
minoranza.
Questa
dinamica è accentuata dal fatto che sono entrate in scena le nuove
tecnologie, per cui non esistono più i confini: l’Islam influisce
sulle dinamiche culturali europee perchè siamo in contatto
sistematico con culture islamiche ed è molto facile, per un giovane
europeo cresciuto qui, avere scarsi contatti con la realtà locale
(quartiere, città, paese) e abbeverarsi alle fonti della cultura
islamica che ha le proprie centrali in Arabia, Iran o altri luoghi.
Sto
riflettendo molto sul caso di Jihadi John – Mohammed Emwafi: è
arrivato qui a sei anni, quindi era un occidentale perchè a
quell’età non aveva ancora un’identità formata. Ha studiato in una
scuola cristiana alle primarie e poi in un istituto secondario di
prestigio e ha frequentato l’università. Tutte le testimonianze
dicono era un ragazzo socievole però, a un certo punto della sua
vita, intorno alla maggiore età, ha trovato altri agganci, in
particolare con una serie di personaggi che avevano altri ideali,
ideali quaedisti. Come mai un giovane che aveva in tasca una laurea
in informatica, con tante possibilità di scelta, diventa simbolo
globale di una causa aberrante?
è la sua opinione a proposito dello scontro di civiltà?
uno vuole essere politicamente scorretto, potrebbe dire che esiste.
Non nel senso che abbiamo due mondi, un Est e un Ovest, un
Cristianesimo e un Islam, ma abbiamo dei microscontri all’interno
della nostra stessa civiltà occidentale, in cui abbiamo minoranze e
maggioranze, segmenti diversi della società che comunicano molto
male tra loro. Lo scontro è al nostro interno ed è capillare.
Aggiungo
che la libertà di espressione, ad esempio, riferendomi agli
attentati in Francia, è un nostro valore che si contrapporrebbe alla
sensibilità dei musulmani. In realtà la libertà di espressione non
è nemmeno un valore nostro se pensiamo che Papa Francesco ha
dichiarato che ovviamente non si può uccidere in nome di Dio, però
se qualcuno offende qualcosa in cui credi (e ha fatto riferimento
alla madre) lui si deve aspettare da te un pugno. La marcia dei
cinquanta capi di Stato a Parigi dopo l’attentato ha visto l’assenza
di Barak Obama: un’assenza clamorosa perchè gli Stati Uniti
dovrebbero incarnare il valore delle libertà, anche di espressione.
Questi sono due messaggi chiari di smarcamento e confermano che gli
scontri sono all’interno della nostra stessa civiltà.