“Il nostro sangue è buono solo per le guerre”: i Falasha denunciano il razzismo
Monica Macchi
La scorsa domenica a Tel Aviv c’è stata una imponente manifestazione (10.000 persone secondo la stampa israeliana, 3000 secondo la polizia) per protestare contro i maltrattamenti inflitti dalla polizia a un soldato di origine etiope: il bilancio è stato di una cinquantina di poliziotti feriti e una trentina di manifestanti arrestati…e importanti strascichi politici. Infatti il Presidente Reuven Rivlin ha ammesso che “i manifestanti hanno rivelato una ferita aperta nel cuore della società israeliana” e ha dovuto riconoscere “gli errori del governo nel modo in cui tratta gli israeliani neri” e le numerose difficoltà di integrazione dei falasha, una delle dieci tribù perdute del regno di Israele (la cui “ebraicità” è stata riconosciuta solo nel 1975). Non solo: pochi giorni dopo l’Università Tafnit Holon ha sospeso un insegnante che, durante un dibattito con gli studenti ha detto: “Gli etiopi si dimenticano da dove vengono: meglio se se ne tornano in Etiopia. Stanno diventando insolenti: pochi anni fa non avrebbero osato neppure aprir bocca! Non capiscono che sono diversi da noi e lo devono accettare”.
Dopo le tre diverse Aliah (ritorno nella terra promessa d’Israele in uno Stato che nega il diritto al ritorno dei Palestinesi…) dell’Operazione Mosè del 1985 (organizzato sotto la supervisione del Mossad), dell’Operazione Salomone del 1991 e dell’Operazione Ali di Rondini del 2010, Israele ha formalmente messo fine a questa politica il 28 agosto 2013 con un comunicato ufficiale del delegato dell’Agenzia Ebraica in Etiopia, Asher Sejum con l’impegno di riorientare le risorse finanziarie per migliorare le condizioni di vita dei Falasha già presenti in Israele e di esaminare caso per caso “ricongiungimenti familiari e questioni umanitarie specifiche”. Si calcola che attualmente ci siano circa 130.000 ebrei di origine etiope che, nonostante beneficino de iure della piena cittadinanza israeliana soffrono di bassi livelli di istruzione, alti livelli di disoccupazione (quasi il 60% delle famiglie dipendono dall’assistenza sociale e vivono al di sotto della soglia di povertà), proporzione di detenuti superiore alla media. Inoltre negli anni 2000, per ottenere il diritto di emigrare in Israele, le donne hanno dovuto sottoporsi a iniezioni di Depo-Provera, un contraccettivo che provoca sterilità “temporanea” con obbligo di ripetere il trattamento in Israele e così il tasso di natalità nella comunità Falasha è sceso del 50% negli ultimi dieci anni …
Giusto due settimane fa è uscito in inglese “How The World Turned White” (pubblicato in ebraico l’anno scorso vincendo il premio Ramat Gan come miglior opera prima) di Dalia Betolin-Sherman che racconta il viaggio della sua famiglia sotto il regno di Haile Selassie da Ambover, (un villaggio ebraico nel nord dell’Etiopia) verso il Sudan e da lì in Israele.