Appello per un permesso di soggiorno europeo
per i Diritti Umani di Milano si associa al seguente appello di
Milanosenzafrontiere e chiede di farlo girare. Grazie.
La crisi ha mutato profondamente il quadro politico e sociale. Mentre l’immigrazione entra nel dibattito pubblico come continua ‘emergenza’, solo a ridosso delle stragi che continuano a ripetersi nel Mediterraneo, una vera e propria guerra contro i migranti viene combattuta sui confini interni ed esterni dell’Europa e dell’Italia.
Il regime di Dublino impedisce a migliaia di uomini e donne di muoversi liberamente una volta arrivati in Europa e il razzismo istituzionale pesa su ormai quasi cinque milioni di uomini e donne che in Italia vivono, lavorano o transitano dipendendo da un permesso di soggiorno. A causa del legame tra permesso di soggiorno, lavoro e reddito sono migliaia i mancati rinnovi dei permessi, i ricongiungimenti familiari negati, i rigetti per le regolarizzazioni tramite sanatoria. A tutto questo si deve aggiungere un aumento silenziosamente pianificato del potere discrezionale di questure e prefetture e un’intensificazione dello sfruttamento nei posti di lavoro. La gestione delle cosiddette migrazioni umanitarie – che vede insieme logica dell’emergenza, business dell’accoglienza e ingresso nel mercato del lavoro in condizioni di ricattabilità – si colloca all’interno di questo contesto, come i tempi infiniti di convalida delle richieste di asilo e le vicende legate a Mafia Capitale confermano ogni giorno.
I partiti e i sindacati, il governo e il suo primo ministro, abituati a cinguettare su tutto, sembrano uniti nello sforzo di alzare un muro di silenzio sulla condizione dei migranti in un paese che è terra di arrivo e di transito dei percorsi migratori globali. Pensano che i migranti possano dimenticare la Bossi/Fini. Tuttavia, di fronte alle sfide poste dal governo della mobilità oggi pienamente dispiegato dentro e attraverso i confini dell’Europa, le lotte dei migranti di questi ultimi anni indicano a tutti la possibilità e la necessità di pensare nuovi processi di organizzazione che sappiano tenere insieme i temi della precarietà, dello sfruttamento, del razzismo e della libertà di movimento. Si tratta di fare un salto in avanti per connettere le tante esperienze e vertenze esistenti e allargarle all’insieme di figure che lottano dentro e contro la precarietà, traducendo il rifiuto del razzismo in una forza politica di connessione tra le diverse figure del lavoro. Si tratta di costruire le condizioni per una presa di parola comune di migranti e precari, donne e uomini, contro un regime di sfruttamento che si fonda su gerarchie definite da confini giuridici e salariali. Si tratta di superare la divisione tra migranti e rifugiati, una divisione funzionale per l’intero assetto del razzismo istituzionale, per affermare il diritto di attraversare un confine senza morire, di muoversi liberamente e di restare all’interno dello spazio europeo per chi arriva e per chi è già arrivato, a prescindere dal suo status.
La rivendicazione di un permesso di soggiorno minimo di due anni, valido a livello europeo e incondizionato rispetto al lavoro e al reddito, rappresenta una cornice comune per attaccare il principio costitutivo delle politiche migratorie italiane ed europee – il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro – la discrezionalità di prefetture, questure e commissioni territoriali e la distinzione tra migranti economici e richiedenti asilo.
Per queste ragioni chiamiamo una settimana di lotta e mobilitazione in più città che culmini nella giornata di sabato 13 giugno, in cui la rivendicazione di un permesso di soggiorno minimo di due anni, europeo e incondizionato, sarà avanzata a partire dalle seguenti richieste:
L’introduzione del principio silenzio/assenso per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno dopo i tempi stabiliti per legge;
La rottura del legame tra soggiorno, lavoro e reddito nei processi di rinnovo e rilascio dei permessi di soggiorno;
L’annullamento dei regolamenti di Dublino che impongono di chiedere asilo nel primo paese di arrivo;
Una gestione partecipata da parte dei migranti dei fondi destinati all’accoglienza;
La chiusura di tutti i Centri di Identificazione ed Espulsione.