Mario, disabile superabile
racconto autobiografico, Mario
disabile superabile,
narrato in terza persona dell’evoluzione della vita di un ragazzino
nato verso la fine della seconda guerra mondiale nella bassa pianura
padana del secolo scorso, un posto dove la vita scorreva coi ritmi
medievali della campagna.
Quando Mario comincia a camminare a
circa un anno, uno zio materno si accorge che il bimbo ha un
problema all’occhio sinistro. Una visita medica oculistica constata
la presenza di una cateratta congenita al bulbo oculare: è nato
monocolo.
Anche vedendo con un solo occhio si può vivere e Mario
cresce: ha visto dalla nascita con un solo occhio, quello destro, e
per lui quella del monocolo è una vita “normale”.
Verso
i tre anni e mezzo ha una forte febbre che dura quasi un mese: il
medico del paese dice che è un’indigestione e prescrive purga e
riposo.
Passata la febbre Mario si alza dal letto ma la gamba
destra non funziona più come prima e comincia a zoppicare: dapprima
leggermente e poi in maniera sempre più evidente.
Si stanca
facilmente a camminare: strano perché prima della febbre correva
sempre, però nessuno capisce la causa della zoppìa di Mario.
Dopo
sei mesi dalla guarigione dalla febbre Mario viene accompagnato in
ospedale dove viene visitato da un luminare ortopedico il quale
diagnostica immediatamente la malattia che, a quei tempi ed in quei
posti, pochi conoscevano: poliomielite.
Per Mario inizia la vita
del disabile in un contesto povero, ignorante ed aggravato dal
pensiero fascista dominante che, in quei tempi, arrivava a
prescrivere la soppressione dei bambini soggetti a gravi forme di
disabilità.
In quel contesto nessuno ha tempo per i bambini e
Mario capisce in fretta che nascere in un posto povero è già una
bella rogna, avere a che fare con persone rozze è ancora peggio ed
essere disabile, in aggiunta alle prime due calamità, è il peggio
che possa capitare.
è solo l’inizio del racconto di Germano Turin – raccontata nel
libro intitolato Mario
disabile superabile edito
da Sottosopra – al
quale abbiamo rivolto alcune domande.
tratta di un racconto autobiografico: come vivere una situazione di
“disabilità” in un contesto difficile come quello successivo
alla Seconda guerra mondiale?
nascita, a dicembre del ’42, il babbo era in guerra come fante
dell’Esercito Italiano. Anche a casa era tempo di guerra: dalla
strada sterrata a fianco a casa passavano tedeschi, fascisti, carri
agricoli. Ad aprile del ’45 cominciò a passare anche qualche
camionetta degli Alleati. Nella casa dove sono nato c’era miseria,
ignoranza, emarginazione e la mamma che mi partorì in casa aiutata
dalla “levatrice”, come si faceva a quei tempi. Uno dei danni
procurati dalle “leggi razziali” del regime fascista fu che la
disabilità comportava, secondo loro, una “vita indegna di essere
vissuta” e che questo concetto era anche accettato dal collettivo.
I più “buoni” tolleravano che “anche i disabili potessero
vivere”, però era meglio che lo facessero di nascosto, rendendosi
il più possibile “invisibili”.
può spiegare che tipo di educazione ha ricevuto (in famiglia, a
scuola)? E quanto è importante proprio l’educazione per i bambini e
i ragazzi che hanno una compagna/o disabile?
mi spiegava nulla perché nessuno era in grado di farlo. Il babbo
tornò dalla guerra e dalla prigionia quando avevo due anni. Ma non
cambiò nulla perché dovette tornare a lavorare sui campi: del
padrone naturalmente, dato che era salariato agricolo. Gli
insegnanti, a cominciare dalla scuola elementare, avevano studiato
durante il regime fascista, quindi era già tanto se erano delle
persone “equilibrate”. Anche dopo la liberazione, avvenuta nel
Veneto nel ’45, non è che tutti gli italiani, con un colpo di
bacchetta magica, diventarono dei ferventi repubblicani. I compagni
di scuola erano, nella maggioranza, figli di braccianti agricoli:
diffidenti verso tutto e tutti. Alcuni compagni di scuola erano figli
o nipoti di ex gerarchi fascisti: i più “buoni” mi sussurravano
che “non era giusto che, in quanto ragazzo con disabilità” fossi
bravo a scuola. Per loro era uno spreco.
erano addirittura aggressivi nei miei confronti perché non
ammettevano che fossi più bravo di loro a scuola. Da piccolo presi
anche delle botte: quando non ce la facevano a picchiarmi
singolarmente ci si mettevano anche in due o tre per sopraffarmi.
disabili è anche una ricchezza: a suo parere, è cambiata la
mentalità in questo senso?
persone con disabilità può essere una ricchezza se l’ambiente che
ti circonda ti permette di sviluppare la ricchezza che è in te e che
devi scoprire un pezzo alla volta. Se devi usare tutte le tue forze
per galleggiare e sopravvivere ai bisogni primari non è una
ricchezza. La mentalità sta cambiando, è vero, però non con la
velocità con la quale si espande la disabilità che, sappiamo tutti,
è in continua espansione.
libro racconta di averel subito anche atti di bullismo: cosa vorrebbe
dire ai bulli di oggi e alle vittime?
poter dire che il problema non ero io ma loro. Io non volevo nulla da
loro: erano loro a ritenere che certe mie caratteristiche spettassero
a loro.
a chi e a cosa è cambiata la sua vita?
lo so quali siano state le cause che hanno cambiato la mia vita e con
quale incidenza vi abbiano contribuito. Credo una miscellanea di
volontà, capacità di sfruttare “in tempo reale” la maggior
parte delle occasioni che mi si prospettavano e… una dose massiccia
di Provvidenza di riuscire a fare il tutto.