Hate speech e libertà di espressione
scorso 9 ottobre 2015, presso l’Università Statale di Milano,
Dipartimento di Giurisprudenza, si è svolto un convegno, organizzato
dall’ASGI, dal titolo: Hate
speech e libertà di espressione:
tanti gli ospiti che hanno animato i dibattiti e che hanno
approfondito gli argomenti relativi al tema.
per i Diritti Umani ha
seguito il workshop che ha riguardato il “Linguaggio d’odio nella
rete e nei media”.
punto su cui si è discusso riguarda la precisazione secondo la quale
l’odio non passa solo attraverso un FATTO, ma anche attraverso
elementi extra giuridici come, ad esempio, gli strumenti tecnici che
vengono utilizzati. Ecco perchè sono nati, negli ultimi tempi, molti
progetti che monitorano proprio gli strumenti tecnologici a
disposizione delle persone.
Klein ha illustrato il progetto RADAR per dare ad avvocati, giudici,
Polizia e associazioni strumenti adatti a regolare
l’antidiscriminazione e l’antirazzismo. Il progetto fornisce delle
guide con raccomandazioni che servono anche a livello europeo e che
riguardano, spesso, anche i testi di legge. Per fare un esempio: in
alcuni comunicati dell’Unione europea si usa il termine “razza”:
viene specificato che il termine non è usato in senso genetico, ma
non viene nemmeno specificato in che senso venga utilizzato e questo
contribuisce a creare confusione. In Finlandia, invece, il concetto
di “razza” non viene mai utilizzato, così come il suo derivato
“razziale”.
delle sentenze si evidenziano e si analizzano le parole, ma anche la
comunicazione non verbale (i gesti) e le immagini per verificare che
non passino messaggi discriminatori, così come risulta importante la
comunicazione paraverbale, ovvero il tono di voce con il quale
possiamo veicolare i significati che corrispondono a ciò che
pensiamo veramente, ma anche quelli sottesi. Nelle sentenze italiane
non si considerano mai questi fattori comunicativi, ma al limite, ci
si sofferma ad analizzare solo le parole. Questi fattori, invece,
sono importanti perchè la comunicazione crea le pratiche sociali e
vanno analizzati nella loro complessità e nella loro dinamica –
attraverso l’analisi della conversazione, molto usata in
sociolinguistica – perchè permettono di vedere la reazione
dell’Altro, soprattutto quando sono state fatte delle videoriprese
(ci riferiamo, quindi, all’analisi dei talk show, delle pubblicità,
delle conversazioni in rete, scritte e visive).
progetto interessante è stato esposto da Alessandra Giannoni del
Cospe. Il progetto europeo si chiama BRICKS e si occupa di capire
come le testate online gestiscono le interazioni degli utenti in tema
di immigrazione e minoranze, puntando sull’Educazione ai media per
promuovere un approccio critico.
collaborazione con l’Università di Firenze, sono state raccolte –
tra gennaio e marzo 2015 – interviste a testate giornalistiche
online ed ad esperti (dell’Unar e della Carta di Roma): le
conclusioni, ad oggi, dimostrano che l’utente denominato “AGGRESSIVO”
è colui il quale scrive: “Io li conosco, ho la soluzione perchè
sono armato” oppure “Non sono razzista, ma…” oppure “ Non
sono ipocrita, dico quello che penso…”: in questi casi siamo nel
campo dell’opinione e chi scrive o pronuncia questa frasi, sa di
poterlo fare perchè ormai sono accettate e non vengono sanzionate.
Per contrastarle e monitorare i discorsi d’odio si potrebbe
intervenire sui toni con cui vengono detti e scritti oppure
rispondere alle persone in maniera privata, convincendole a non
insistere.
l’Unità di Prevenzione del Crimine e Giustizia penale ha realizzato
un progetto, PRISM, di cui si è parlato sempre durante il convegno.
La relatrice, Elena D’ Angelo, ha esposto i risultati comparativi di
un’indagine che si è verificata in 28 Paesi europei per la lotta
contro i crimini e i discorsi d’odio online e sui nuovi media (i
Paesi che hanno risposto all’indagine sono stati, però, 18).
di partenza: quanto il Diritto può essere utile? E’ in parte
necessario, le misure giuridiche sono utili, ma non sono sufficienti.
Innanzitutto manca una definizione precisa di “discorso d’odio” e
poi mancano le tecniche di indagine COMUNI a livello europeo: in
alcuni Paesi le legislazioni sono ancora vaghe, mentre in altri sono
talmente nuove che non riescono ad essere efficaci, come ad es. in
Grecia o in Spagna.
segnalazioni sono fondamentali perchè aiutano anche a dare un quadro
completo del fenomeno: non solo le denunce alla Polizia, dunque, ma
sarebbe necessario implementare anche applicazioni sui cellulari
oppure una nuova e precisa modulistica online.
Minicucci, di CITTALIA, ha presentato un’altra ricerca, sempre
nell’ambito del progetto PRISM, sui gruppi che più si
caratterizzano per i discorsi di odio e come si rapportano i giovani
riguardo al tema. Emerge, in Italia, una presenza massiccia di gruppi
di destra e di destra radicale che non ripudiano il fascismo e il
colonialismo e nemmeno il razzismo e la violenza. Una domanda
interessante, emersa dall’indagine, è: “Chi scrive sui social,
potrebbe passare dalla scrittura ai fatti?” (Vedi il caso di
Stormfont Italia)…
si è parlato anche di antisemitismo e islamofobia, con Giulia Dessì
di MEDIA DIVERSITY. In Italia, oggi, non si parla di antisemitismo,
invece in altri Paesi europei la situazione è molto grave: si
leggono ancora, infatti, frasi che riguardano l’uso del sangue dei
bambini per riti religiosi, di complotto giudaico e di negazionismo
della Shoà anche se nei media mainstream l’antisemitismo è meno
frequente, in Europa, rispetto ad altre forme di razzismo o di
islamofobia. A questo proposito, si tende a dipingere l’Islam come un
blocco monolitico, come portatore di valori inconciliabili con quelli
europei ed occidentali tramite la visione di uomini violenti e dediti
al terrorismo. Le fonti di ricerca hanno visto le analisi dei servizi
de “Il Giornale” o di “Fox news” dove, spesso, le immagini
non corrispondono al testo.
azioni di contrasto suggerite da questo progetto sono: presentare
esposti e denunce ai giornalisti, all’Ordine dei giornalisti e alle
associazioni e agli organismi regolatori indipendenti (ad es. IPSO
per l’Inghilterra).
termine dell’incontro è stato ribadito che il RAZZISMO è solo un
fenomeno CULTURALE: tutte le teorie sul razzismo biologico hanno
clamorosamente fallito.