L’urlo contro il regime: gli antifascisti italiani in Tunisia tra le due guerre
antifascisti italiani in Tunisia tra le due guerre è
l’ultimo saggio di Leila el Houssi, docente presso l’Università
di Firenze e coordinatrice organizzativa del Master Mediterranean
studies presso la Facoltà di Scienze Politiche. In questo suo ultimo
lavoro
italiano in Tunisia tra le due guerre mondiali e rimette in
discussione il luogo comune secondo cui la numerosa collettività
italiana presente nel paese nordafricano fosse totalmente schierata
col regime fascista. In realtà, contro la dittatura di Mussolini e
la sua propaganda sorse una corrente di opposizione i cui
protagonisti furono membri dell’élite borghese liberale di
appartenenza massonica, militanti del movimento anarchico, esponenti
della classe operaia organizzata nei partiti della sinistra
socialista e comunista e aderenti a Giustizia e Libertà. Nacque
così un dinamico laboratorio politico animato da giovani
italo-tunisini che vide nei primi anni Trenta la costituzione della
sezione tunisina della Lega italiana dei diritti dell’uomo (LIDU) e,
in seguito, l’apporto di personalità politiche come Velio Spano e
Giorgio Amendola inviati dal Centro estero del PCI per dare respiro
internazionale al movimento antifascista di Tunisia. Le vicende di
questo nucleo antifascista sono state ricostruite attraverso
l’analisi della stampa, della memorialistica e di una vasta
documentazione reperita negli archivi tunisini, italiani e francesi.
i Diritti umani ha intervistato, per voi, Leila el Houssi e la
ringrazia molto per queste sue parole.
due culture, quella tunisina e quella italiana. Quali sono le
differenze e i punti di contatto?
i punti di contatto rispetto alle differenze. Sono entrambi Paesi
mediterranei, sono vicini geograficamente e la cultura, quindi, è
simile. Io non voglio vedere le differenze neanche a livello di
popoli, forse sono altri che vogliono coglierle.
comunità italiana si è integrata in Tunisia nel Passato? E, oggi,
qual è il rapporto tra italiani e tunisini?
italiana si è storicamente inserita nel tessuto sociale tunisino già
secoli fa e si tratta di un primo radicamento da parte di una
immigrazione regionale (livornesi e siciliani) con delle peculiarità
interessanti: i livornesi, ad esempio, erano di origine
ebraica-sefardita ed erano una comunità nella comunità, mentre i
siciliani – alla fine dell’800, a causa della povertà di un’Italia
appena costituita – emigrarono in Nord Africa, in Libia e anche in
Tunisia.
l’integrazione si è verificata anche a livello culturale, non solo
territoriale: in molti testi, infatti, si racconta di come alcune
comunità di siciliani parlassero una lingua mista di siciliano,
arabo e francese.
è cambiato qualcosa, in termini di migrazione italiana, sotto questi
regimi?
dell’indipendenza tunisina, ottenuta nel ’56 con Bourgiba, molti
italo-tunisini dovettero emgrare verso la Francia. Negli ultimi
vent’anni c’è stata un’immigrazione più legata ad aspetti
economici: molti italiani, per esempio, hanno investito capitali in
aziende tunisine oppure si sono trasferiti nel Paese alla fine della
carriera professionale (questo è un fenomeno recente).
in Tunisia a livello sociale e culturale,a nche a seguito dei due
attentati al Museo del Bardo e a Sousse?
è cambiata molto: il Paese sta ancora percorrendo una transizione
democratica perchè si tratta di un processo molto lungo e non
facile: il processo è sottoposto a vari tentativi di
destabilizzazione, pensiamo anche agli attentati politici del 2013,
quando due esponenti sindacalisti sono stati assassinati. Ma è anche
vero che la società civile sta lavorando per non essere vittima di
queste destabilizzazioni; questo popolo ha vissuto anni e anni di
dittatura, repressione e paura e non credo che voglia ritornare a
vivere in quella situazione. Ormai la paura è stata spazzata via.
l’assegnazione del Nobel per la Pace al quartetto tunisino?
felice. Credo che sia un riconoscimento importante perchè questo
premio dà al popolo tunisino quella visibilità che merita perchè,
per primo, ha rivoluzionato il proprio assetto politico in maniera
tranquilla; e poi perchè è anche un riconoscimento, da parte della
comunità internazionale, agli sforzi e ai sacrifici fatti per
diventare anche un modello per l’intera area nord-africana e
preservare tutto quello che è stato ottenuto fino ad ora.