La situazione odierna in Medioriente e le prospettive possibili nel conflitto israelo-palestinese
Monica Macchi
MAGISTRALIS DI GIDEON LEVY
è come certi maestosi alberi del New England in Usa,
sembrano solidissimi e forti, ma crollano all’improvviso,
sono marci dal di dentro.
società israeliana è ormai persa,
vostre società civili può arrivare una scossa,
il boicottaggio e altre iniziative”
scorso alla Casa della Cultura di Milano, organizzata
dall’Associazione Oltre il Mare e senza patrocini istituzionali, la
conferenza stampa del pomeriggio è andata deserta ma all’incontro
serale con Gideon Levy la sala era strapiena per ascoltare una
versione lontana dal pensiero unico mainstream…eccola anche a voi:
Figlio
di rifugiati europei, giornalista di Ha’aretz e di
Internazionale, Gideon Levy si autodefinisce come il tipico
prodotto del sistema socio-educativo israeliano: convinto dello
status di vittima obbligata ad una difesa permanente, non ha
mai sentito parlare della Nakba fino agli anni ‘80 quando,
durante la Prima Intifada, va in Cisgiordania come inviato e
scopre “il dramma nel cortile dietro casa”, dramma che
pochi giornalisti documentano. Ed è proprio per questo ha
iniziato e continua a
denunciare i crimini commessi ai danni dei palestinesi: “ci
sarà un giorno in cui ci verrà chiesto conto di tutto questo.
Ed è giusto che ne resti memoria. Gli israeliani non sono
consapevoli e non sono informati, ma non potranno dire ‘io
non sapevo’”.
conduttore di questo intervento è la domanda di apertura che Levy
fa al pubblico e a sé stesso: “Perché un popolo generoso come gli
israeliani che danno spesso aiuti nelle calamità internazionali
(come è successo recentemente dopo il terremoto in Nepal e con i
rifugiati siriani ospitati nelle sinagoghe di diversi Paesi) non ha
dubbi morali e non protesta per il dramma e i crimini che stanno
compiendo contro i Palestinesi?”
parte dalla constatazione che Israele è
l’unico Stato al mondo con 3 regimi al suo interno: una democrazia
liberale per gli ebrei (seppur resa debole e fragile da una
legislazione anti-democratica); un regime discriminatorio per la
minoranza palestinese (20% della popolazione) che
partecipa solo formalmente; un regime totalitario e di apartheid nei
Territori Occupati Militarmente. Dunque la prima cosa da fare è
sfatare il mito di “Israele unica democrazia del Medio Oriente”:
una democrazia non può essere “a metà” solo per un gruppo
privilegiato di cittadini; o c’è uguaglianza o
non c’è democrazia. E la seconda immagine iconica da abbattere è
“l’eccezionalismo”: dall’unicità della Shoah per cui gli
ebrei sono le uniche vittime della Storia..e anzi sono vittime anche
degli occupati che impongono loro l’occupazione (Golda Meir è
arrivata a dire “non
perdoneremo mai i Palestinesi per averci obbligato a uccidere i loro
figli”) fino alla convinzione di essere
il “popolo eletto” per cui le norme del
diritto internazionale valgono solo per gli altri popoli e non si
applicano agli ebrei che hanno invece un diritto di origine divina la
cui fonte è direttamente nella Bibbia. Parallelamente si sta
assistendo anche da parte dei media ad una deumanizzazione e
criminalizzazione dei Palestinesi rappresentati come sub-umani
(quindi obtorto collo
non si possono neppure applicare i diritti umani a “loro”); sono
“intrinsecamente cattivi”, “nati per uccidere” e la recente
“Intifada dei coltelli” viene raccontata come se accoltellare
ebrei fosse il nuovo hobby degli adolescenti palestinesi…
esattamente come altri adolescenti collezionano farfalle, figurine o
francobolli.
Gideon Levy non vede quindi una
possibilità di cambiamento endogena nella società israeliana,
che negli anni è diventata sempre più nazionalista,
razzista e militarista e delegittima voci coraggiose ed impegnate
come quella di “Breaking the silence”, un’associazione che
raccoglie e diffonde testimonianze di soldati sui
crimini dell’occupazione. Ripone invece speranze in variabili
esogene, non tanto nell’Europa troppo
paralizzata dal suo passato e dalla sua storia né negli Stati Uniti
che danno un supporto cieco ed automatico a Israele al punto tale che
Gideon Levy chiede provocatoriamente: “chi è il burattino e chi la
super-potenza?” ma nel Sud-Africa… o meglio nel modello del
Sud-Africa. Infatti dopo un viaggio a Johannesburg, si è reso conto
che l’apartheid è stato sconfitto dal boicottaggio e dal fatto che
i responsabili siano stati chiamati a render conto dei loro
comportamenti: solo la giustizia può disinnescare l’odio. E ha
cambiato idea sull’ipotesi dei 2 Stati, di cui è stato a lungo
sostenitore. Visto che è dal 1967 che esiste un unico Stato ma il
problema è il regime, propone di applicare il principio “una
testa, un voto” perché “Israele non avrà
altra scelta che accettare o essere costretta ad ammettere di
praticare l’Apartheid. E chi è disposto ad accettarlo nel 2015?”.