Se in Danimarca tramonta l’Europa
di Adriano Prosperi (da La Republica)
UN pagamento anticipato delle spese di asilo e di assistenza. È una notizia che merita di essere attentamente considerata da tutti i cittadini europei. È un passo ulteriore nell’inedito esperimento di rapporti tra popoli migranti e popoli stanziali in atto ai nostri giorni.
Non del tutto inedito, tuttavia. Esso ci richiama alla mente quella tripartizione di ruoli che secondo lo storico Raul Hilberg si disegnò ai tempi del genocidio nazista e divise i contemporanei dei fatti tra carnefici, vittime, spettatori. Ci si chiede se sia possibile applicare questa tripartizione ai nostri tempi. Quali siano le vittime è evidente: in Europa attendiamo fra poco l’arrivo del milionesimo migrante per chiudere il bilancio del raccolto di questo anno. L’estate scorsa se ne attendevano ottocentomila e sembravano già troppi. Nel conto ci sarebbe da considerare anche quelli morti per via. All’Università di Amsterdam si censiscono i casi di “Death at the borders of Southern Europe”. È l’elenco dei caduti di una guerra senza fine. A differenza di quelli delle guerre mondiali europee del ‘900 questi morti sono rappresentanti con una infografica fatta di tanti puntini dai colori diversi: in blu chiaro quelli identificati, in blu scuro quelli senza nome. Soldati ignoti della grande guerra in atto. Ma le vittime non sono solo quelle morte in viaggio. La strada dell’Europa è dura e piena di imprevisti anche per via di terra. I piedi dei bambini e delle donne migranti fanno pensare a quelli della sirenetta di Andersen. La nostra Europa così poco unita sembra divisa solo dalla diversa asprezza delle prove a cui sottopone i dannati della terra. E gli europei, cioè noi, sembrano impegnati in mutevoli giochi di ruolo: oggi carnefici ieri spettatori. Pronti comunque anche a livello politico ufficiale a rigettare responsabilità sul vicino e sempre protetti da chi caccia le cattive notizie nelle pagine interne dei giornali: come quella dei cinque bambini annegati due giorni fa nelle acque turche. Bambini sì, ma migranti. Fossero stati figli di gitanti ne avremmo conosciuto nomi e nazionalità e visto le foto in prima pagina. Chi non ricorda il corpo del piccolo Aylan, quella sua t-shirt rossa e quei pantaloncini blu scuro? La donna che scattò la fotografia disse di essersi sentita pietrificata: e sembra che il premier inglese Cameron dopo averla vista abbia modificato la durezza delle sue posizioni sull’immigrazione. Ma oggi tira un vento diverso. Impallidiscono i colori delle buone intenzioni dell’estate passata . Quelle della Merkel, che permisero a tutti i tedeschi per una volta almeno di sentirsi buoni, per ora hanno incontrato più ostacoli che consensi. Alla prova dei fatti contano le mura, quelle materiali e quelle legali e burocratiche che sono state alzate davanti a ogni frontiera, specialmente ma non solo a quella orientale dell’Europa, dove intanto la Turchia svolge il lavoro sporco ma ben retribuito di cane da guardia. È bastata l’ombra del terrorismo, l’idea che sui barconi arrivino da noi dei fanatici votati al martirio stragistico e la paura ha fatto il resto, gonfiando le vele dei partiti xenofobi, cambiando di colpo il paesaggio politico francese.
Il rapporto tra parole e fatti può essere misurato da quello che è accaduto il 18 dicembre. Era il giorno della Giornata internazionale di solidarietà con i migranti, fissato a ricordo della data in cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò nel 1990 la Convenzione internazionale per la tutela dei diritti dei migranti. Ma proprio in quel giorno, sulla festa delle buone intenzioni è calata dalla Danimarca l’ombra cupa del progetto di legge che abbiamo ricordato. In quel paese di una democrazia e di un welfare idoleggiati non solo dai migranti si avanza la legge che promette di essere la soluzione finale del problema. Il governo, espresso dal partito xenofobo Venstre, ha già fatto parecchio in questo senso.
Ora sta progettando un vero salto di qualità. Chi si presenterà alle frontiere sarà perquisito e si vedrà sequestrare danaro e ogni oggetto di valore. Si lasceranno le fedi nuziali, si dice: e non si arriverà certo a strappare ai migranti i denti d’oro, come i nazisti facevano alle loro vittime. È il danaro che conta: è questa la misura unica del valore nell’età del neoliberismo.
Anche se la violenza sui corpi non è una frontiera insuperabile. Proprio in questi giorni le cosiddette autorità europee hanno rimproverato quelle italiane per le mancate registrazioni delle impronte digitali dei migranti: e hanno imposto di permettere l’uso della forza per la raccolta delle impronte e di “trattenere più a lungo” i migranti che oppongono resistenza.
Dunque, guardiamo alla sostanza, ai duri fatti di un conflitto tra le ragioni della più elementare umanità e l’avanzare strisciante di un ritorno preventivo a misure che sono iscritte nelle pagine peggiori del nostro recente passato. Tocca a tutti noi come spettatori decidere se voltare altrove lo sguardo o resistere attivamente al degrado della realtà – questa sinistra realtà europea dei nostri giorni. I valori che sono in gioco non sono solo i soldi e gli oggetti preziosi dei migranti: sono quelli immateriali che dovrebbero costituire il fondamento di una costruzione europea oggi tutta da ripensare.