Il ddl per contrastare il lavoro nero in agricoltura
Di Marco Omizzolo
“Il mio padrone mi paga 3 euro l’ora. Però non mi paga da sei mesi. Io abito a Pontinia da tre anni e lavoro sempre in campagna come bracciante. Il mio padrone ha una grande cooperativa agricola. Siamo in dieci indiani e tutti veniamo pagati 3 euro l’ora”. Questa è una delle molte testimonianze raccolte da In Migrazione e pubblicate nei suoi dossier (scaricabili dal sito www.inmgrazione.it) sulle condizioni di lavoro e sfruttamento dei braccianti indiani in provincia di Latina. Non sono storie isolate, frutto di malintesi, eccezioni, casi isolati di un sistema di produzione tutto sommato sano e virtuoso. È invece l’espressione di una condizione sociale diffusa che vincola un’intera classe sociale, quella dei braccianti, a vivere condizioni di lavoro servili o paraschiavistiche.
In questo caso si lavora sotto le serre o in campo aperto, d’inverno o d’estate, alle condizioni imposte dal padrone, sempre italiano, o dal caporale, italiano o migrante, senza il diritto di discutere, di parlare col sindacato, di denunciare. Lavoro e silenzio. Sfruttati senza diritto di parola o a tempo indeterminato, come titola un altro dossier di In Migrazione. È una forma di moderna riduzione in schiavitù, che lega la globalizzazione con il profitto, la violenza con lo sfruttamento, il ricatto lavorativo e, a volte, quando ad essere sfruttate sono le lavoratrici, meglio se straniere, anche sessuale, con la violazione sistematica, programmata, dei diritti umani. Sulla tratta internazionale a scopo di sfruttamento lavorativo, sulla riduzione in schiavitù, sul silenzio di migliaia di lavoratori e lavoratrici, si regge un sistema economico particolarmente redditizio, soprattutto per padroni, trafficanti, sfruttatori e mafiosi in genere.
Le cause alla base di questo processo sono più articolate e complesse di quelle che possono apparire ad un primo sguardo. Attengono alla ristrutturazione del capitalismo a livello globale, alla particolare natura del mercato del lavoro (italiano, europeo e mondiale), ai residui ideologici che si compongono in una nuova dottrina, spesso sottovalutata se non completamente trascurata dalla classe dirigente del Paese, che finisce col tutelarla con provvedimenti che cancellano diritti o il parcellizzano spalmandoli in una scala temporale in contraddizione, e non a caso, con la velocità propria del tempo della globalizzazione, quasi ad incastrare i diritti stessi, e in particolare quelli proprie del mondo del lavoro, in un domani che non verrà. La cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, i contenuti specifici del Jobs Act, l’innalzamento della tracciabilità economica dai mille euro ai tremila, gli ostacoli posti al sindacato e alla sua capacità di confrontarsi alla pari con il captale, un sistema giudiziario che (in particolare quello penale) è totalmente inefficiente e inefficace, ne sono la palese dimostrazione.
Eppur qualcosa si muove. Si muove nella società civile, tra i migranti, a volte nei tribunali di questo Paese e forse anche nelle istituzioni. Anni di battaglie, denunce, dossier e ricerche e, forse, le drammatiche morti di lavoratori e lavoratrici della scorsa estate, uccise da un sistema di produzione che trasforma il lavoratore in un oggetto o semplicemente in un mezzo per ottenere un profitto, dimenticandone la dimensione umana, hanno obbligato il governo italiano a partire un provvedimento che potrebbe andare nella giusta direzione.
È stato infatti redatto un disegno di legge (DDL, disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura) approvato in Consiglio dei Ministri che ambisce, almeno nelle intenzioni dichiarate, a contrastare sfruttamento lavorativo, agromafie e caporalato. Un provvedimento che merita un attento approfondimento. È utile premettere che nei suoi auspici e in parte anche nei suoi contenuti, esso consente di fare un passo in avanti rispetto alla drammatica situazione attuale. E se si sta davvero dalla parte dei braccianti, non si può accogliere con favore questo sforzo e sostenerlo. Però da qui a tirare fuori le bandiere ed inneggiare alla svolta rivoluzionaria, ce ne passa. Si deve essere cauti perché molto c’è ancora da fare, a partire da emendamenti che devono saper migliorare il provvedimento. Ma senza dubbio il DDL contiene alcune novità che vanno in una direzione condivisibile. Vediamoli nel merito.
All’articolo 1, esso introduce sia la circostanza attenuante, per coloro che si sono efficacemente adoperati nell’individuazione di altri responsabili o per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite, diminuendo la pena da un terzo alla metà e si rende sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persona estranea al reato. Si tratta di un articolo importante che va incontro alle molte rivendicazioni di sindacati e associazioni che da tempo chiedono, tra le altre cose, un inasprimento intelligente e ragionato delle pene capace di colpire i beni frutto dello sfruttamento lavorativo e del business che da esso ne derivano. Proprio nel pontino e in seguito alla pubblicazione del dossier di In Migrazione “Doparsi per lavorare come schiavi” nacque, per intuizione e volontà dell’On. Mattiello, la proposta di includere nel 416 bis del codice penale (reato di associazione mafiosa) il reato di caporalato (603 bis del c.c.). Con quel dossier, diffuso a livello internazionale e presentato alla Camera grazie all’interessamento dell’On. Realacci, derivò un dibattito diffuso e qualificato che contribuì all’approfondimento. Non a caso vennero in missione, proprio nel pontino, alcuni importanti parlamentari (On. Mattiello, On. Civati, On. Chaouki) che ascoltarono le testimonianze dirette dei lavoratori indiani, da cui numerose interrogazioni parlamentari. A testimonianza della rilevanza del provvedimento, l’articolo indicato continua affermando che può essere “disposta la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al prodotto, prezzo o profitto del reato ciò al fine di rafforzare gli strumenti di repressione per sottrarre in modo più efficace alla disponibilità dell’autore del reato le cose che servirono o furono destinate a commettere tale delitto ed i proventi da esso derivanti oltre quelli, nel caso non sia possibile intervenire direttamente su questi, nella disponibilità del reo per un valore corrispondente”.
Altrettanto importante è l’articolo 2 del DDL che “aggiunge la fattispecie di reato tra quelli per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza di reato”. L’arresto e l’effettività e celerità del provvedimento, sono fondamentali per la sconfitta dello sfruttamento lavorativo e del caporalato. Chi sfrutta, riduce in schiavitù, compie violenze fisiche e psicologiche spesso estreme contro altri uomini merita una punizione di tale natura. L’articolo 3, invece, estende “l’ambito applicativo della confisca obbligatoria, già previsto per i reati della criminalità organizzata anche per il reato di caporalato, ampliando le ipotesi di confisca di beni per gli autori del reato”.
Senza alcun dubbio sarebbe utile una riflessione più ampia e approfondita del fenomeno dello sfruttamento lavorativo o del caporalato e sarebbe utile allargare il campo dei soggetti responsabili anche sul piano giudiziario dello stesso, se non della riduzione in servitù o schiavitù. E senza alcun dubbio si dovrà chiedere al Parlamento di fare uno sforzo coraggioso, superando resistenze corporative poco legittime su un tema di questa natura. L’articolo 4 introduce la “responsabilità amministrativa degli enti per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, di cui all’articolo 603 bis del codice penale” mentre l‘articolo 5 alimentare ulteriormente “il fondo per le misure antitratta istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, attraverso i proventi derivanti dalla confisca dei beni in violazione del reato di cui all’articolo 603 bis del codice penale”.
L’articolo 6 modifica e integra la disciplina della Rete del lavoro agricolo di qualità. Tali modifiche e integrazioni vogliono estendere l’ambito dei soggetti che possono aderire alla Rete e le funzioni svolte dalla Cabina di regia della Rete stessa. La norma prevede l’adesione da parte di sportelli unici per l’immigrazione, istituzioni locali, centri per l’impiego, enti bilaterali costituiti dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori in agricoltura e agenzie interinali. La norma, inoltre, prevede che i soggetti provvisti di autorizzazione al trasporto di persone rilasciata dalle autorità competenti, che intendono provvedere al trasporto di lavoratori agricoli, possono stipulare apposita convenzione con la Rete; conseguentemente gli enti locali possono stabilire che la stipula della predetta convenzione sia condizione necessaria per accedere ai contributi istituiti allo scopo dai medesimi enti. La norma prevede poi che i costi del trasporto e le modalità di ripartizione dei medesimi tra azienda e lavoratore siano stabiliti dalla contrattazione stipulata tra le organizzazione più rappresentative sul piano nazionale e che la violazione da parte del trasportatore di quanto previsto dalla convenzione comporti l’immediata ineffettività della stessa.
Con riferimento all’ampliamento delle funzioni svolte dalla Cabina di regia che sovraintende alla Rete del lavoro agricolo di qualità, la norma prevede le seguenti ulteriori funzioni: svolgere monitoraggi costanti, su base trimestrale, anche accedendo ai dati disponibili presso il Ministero del lavoro e l’INPS, mediante il sistema attualmente vigente per le aziende non agricole e ai dati relativi all’instaurazione, trasformazione e cessazione dei rapporti di lavoro e dell’andamento del mercato del lavoro agricolo. Infine, promuove iniziative in materia di politiche attive del lavoro, contrasto al lavoro sommerso e all’evasione contributiva, organizzazione e gestione dei flussi di manodopera stagionale, assistenza dei lavoratori stranieri immigrati. In particolare la Cabina di regia promuoverà la stipula delle convenzioni e svolgerà i propri compiti avvalendosi delle informazioni in possesso delle commissioni provinciali integrazione salari operai agricoli e dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, al fine di formulare indici di coerenza del comportamento aziendale e di congruità occupazionale dell’impresa agricola.
La norma, inoltre, amplia la tipologia di condanne penali che l’impresa agricola richiedente non deve aver riportato. In particolare, oltre alle condanne per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale e in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, la norma fa riferimento anche a condanne per delitti contro la Pubblica Amministrazione, contro l’incolumità pubblica; contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio e contro il sentimento per gli animali. Dunque, un ddl che cambia nella direzione gusta la normativa vigente e che restituisce un po’ di speranza n chi contrasta l fenomeno dello sfruttamento, delle agromafie e del caporalato,
Resta però da fare ancora un grande lavoro di analisi, apprendimento, ricognizione del fenomeno dello sfruttamento lavorativo nelle campagne italiane e del caporalato, per elaborare una normativa più complessa e capace di debellarlo nel merito e definitivamente. Si tratta ad esempio di richiamare sul piano etico e anche penale tutti coloro che si prestano, con le loro competenze e professionalità, a servire trafficanti e sfruttatori, in primis commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro, ragionieri e consulenti vari che agevolano il sistema di tratta e sfruttamento lavorativo dei braccianti italiani e stranieri. Costoro costituiscono lo strumento fondamentale nelle mani degli sfruttatori che consente loro di sfuggire alla legge e di perpetrare il meccanismo della tratta. Riconoscerne le responsabilità è fondamentale. L’auspicio è che, appena giunta in Parlamento, il ddl potrà essere emendato per riuscire a miglioralo così da sconfiggere definitivamente questo odioso crimine e debellare il complesso di interessi (economici e politici) che su di esso si è costituito. Vedremo se questo governo avrà la sensibilità e l’umiltà di ascoltare quanti lavorano sul campo da anni.
L’Associazione per i Diritti umani ringrazia moltissimo Marco Omizzolo per questo suo contributo.