Free Ashraf
di Monica Macchi
Che male o danno può mai arrecare il petrolio
se non inquinare l’aria di una miseria che si lascia alle spalle
“In merito al petrolio nel sangue”
(Traduzione di Simone Sibilio)
Poeta, artista e curatore d’arte, Ashraf Fayadh è nato in Arabia Saudita da famiglia palestinese di Khan Younis. Fa parte del collettivo di artisti anglosauditi Edge of Arabia, con cui ha curato la mostra Rhizoma alla Biennale di Venezia del 2013. http://edgeofarabia.com/exhibitions/rhizoma-generation-in-waiting e ha realizzato un’istallazione di due murali alla Nazioni Unite nell’ambito di Our Mother’s House, iniziativa artistica portata avanti con Art Jameel in supporto delle donne del sud-ovest dell’Arabia Saudita.
Fayadh è stato arrestato per la prima volta il 6 agosto 2013, dopo una lite in un caffè di Abha, con un uomo che l’accusava di diffondere idee in contrasto con l’Islam. Rilasciato il giorno dopo su cauzione, è stato nuovamente arrestato l’1 gennaio 2014 per una serie di reati legati alla blasfemia, tra cui: oltraggiare Allah e il Profeta Maometto; diffondere l’ateismo in luoghi pubblici; rifiutare il Corano; negare l’esistenza di “iaum al qiyyam” (giorno del giudizio) e “laila al-qadar” (notte del destino); scattare fotografie a donne col proprio cellulare e averle conservate (quest’ultimo “reato” viola l’articolo 6 della Legge saudita contro il cybercrimine). Gli amici e i sostenitori di Fayadh ritengono invece che il poeta sia stato punito per aver postato su YouTube un video dove un esponente della polizia religiosa saudita frustava un uomo; in ogni caso nei due anni di detenzione, Fayadh non ha mai potuto rivolgersi a un avvocato perché, al momento dell’arresto, la polizia religiosa gli ha confiscato i documenti, necessari per poter richiedere l’assistenza legale.
Il 30 aprile 2014, il tribunale ha condannato Ashraf Fayadh a quattro anni di detenzione e 800 frustate per le accuse relative alle immagini di donne nel cellulare, ritenendosi soddisfatto del pentimento del poeta in relazione all’accusa di apostasia. Le proteste sollevate in quell’occasione dalle organizzazioni per i diritti umani ottennero l’effetto opposto: a metà novembre è stato riaperto il caso e il nuovo giudice che ha ritenuto “non sufficiente” il pentimento di Fayadh. Così il 19 novembre è stata emessa sentenza di condanna a morte per decapitazione con l’accusa di apostasia, di offesa alla morale saudita e di aver diffuso l’ateismo nella raccolta di poesie intitolata Al taalimat bi al dakhil (Le istruzioni sono all’interno), pubblicata a Beirut nel 2007 dall’editore libanese Dar al Farabi.
Su internet è immediatamente partita la campagna #freeAshraf; molti artisti e poeti come Adonis e Carol Ann Duffy hanno scritto una lettera a re Salman chiedendo di rivedere la sentenza perché “avere delle idee non significa commettere crimini”. Nel novembre 2015 il Berlin International Literature Festival ha pubblicato un appello per sostenere Ashraf Fayadh con reading in tutto il mondo il 14 Gennaio 2016. Lo scorso 3 dicembre a Ramallah, Gaza, Il Cairo e Tunisi sono stati organizzati quattro reading delle poesie di Ashraf in simultanea, che hanno raccolto cento poesie da tutto il mondo per Ashraf: “100 poems for freedom. No instructions to follow” (Cento poesie per la libertà. Non ci sono istruzioni all’interno).
(A Milano il reading si è tenuto alla libreria Le Mots, organizzato da Q Code Magazine)
Una risposta
[…] cui possiamo sostenere il poeta palestinese Ashraf Fayadh,( di cui abbiamo già parlato qui http://www.peridirittiumani.com/2016/01/19/free-ashraf/ e qui http://www.peridirittiumani.com/2015/11/29/ashraf-fayadh-poeta-curatore-e-artista/detenuto […]