Nawal, l’angelo dei profughi
Nawal è l’angelo dei siriani in fuga dalla guerra. Ha 27 anni, di origini marocchine, è arrivata a Catania da piccola: da lì aiuta in modo volontario migliaia di migranti a sopravvivere al viaggio della disperazione nel Mediterraneo e a non cedere al racket degli “scafisti di terra”. Se le persone che viaggiano con i barconi della morte nel Mediterraneo hanno un angelo, il suo nome è Nawal. Se i funzionari dell’Operazione Mare nostrum e le Capitanerie di porto di tutto il Sud Italia devono ringraziare qualcuno per facilitare il loro compito, ovvero il salvare più vite possibili, devono dire grazie a Nawal. Se i giornalisti possono fare il loro mestiere raccontando per filo e per segno quello che accade, superando anche i silenzi e le attese delle risposte istituzionali, lo si deve a persone come Nawal.
L’Associazione per i Diritti Umani ha intervistato per voi Daniele Biella, giornalista e autore del libro Nawal, l’angelo dei profughi, Paoline Edizioni.
Ringraziamo moltissimo Daniele Biella per la sua disponibilità.
Dove e quando ha conosciuto Nawal?
Lavoro per Vita no profit e, occupandomi di temi sociali, vengo a contatto con molte persone e il 2 agosto 2014 – nel seguire il caso del terribile naufragio al largo delle coste della Libia in cui sono stati stimati circa 250 dispersi su 300 – ho incontrato alcuni giovani siriani che avevano circa trent’anni e che avevano perso in mare i propri figli; arrivati a Milano chiedono aiuti per ritrovarli anche perchè, durante l’operazione di salvataggio su Mare Nostrum e anche dopo l’arrivo a terra, avevano assicurato loro che li avrebbero ritrovati, per cui abbiamo lanciato l’appello. Istituzioni, giornalisti e volontari hanno iniziato a cercare informazioni sui bambini e, durante la ricerca, ho incontrato anche Nawal. Nawal riceve telefonate e chiama la Guardia costiera e, da quel momento è diventata, per me e per gli altri, una fonte indispensabile.
Qual è stato il suo percorso? Come è arrivata ad essere un punto di riferimento per i migranti?
Già da quando era ragazzina Nawal ha preso parte a manifestazioni e si è battuta per la giustizia: ad esempio, a 18 anni, ha allestito insieme ad alcuni amici una mensa popolare a Catania per italiani e stranieri. Nel corso del tempo ha cercato di aiutare sempre le persone anche perchè lei è arrivata dal Marocco (quando aveva 25 giorni e passando dalla Spagna): la sua è stata una vita relativamente fortunata, il viaggio della sua famiglia è stato sicuro, ha potuto studiare ma, arrivata ad un certo punto, ha capito di poter dare qualcosa a persone meno fortunate. Questo impegno si è sviluppato nel settore delle migrazioni anche perchè la Sicilia è diventata sempre più una terra di “primo arrivo” e di passaggio, per cui il suo monitoraggio dei diritti umani è diventato sempre più importante.
Nel momento in cui è scoppiata la rivoluzione civile e pacifica in Siria – nelle prime settimane – Nawal ha preso contatto con gli attivisti siriani tramite i social, ha verificato le fonti ed è diventata, in un certo senso, anche una reporter. anche una reporter a distanza: ha iniziato a diffondere sul web e a mandare a network informativi italiani e stranieri i video che le arrivavano dalla Siria. Da Piazza Bellini a Catania si è poi creata una rete e così è nata l’idea di una carovana per portare dei beni di prima necessità, soprattutto medicinali, nel Paese. Nel 2013, quindi, Nawal è partita per la Siria per vedere tutto da vicino, si è messa a disposizione delle persone ed è diventata, una volta tornata in Italia, una sorta di punto di riferimento per coloro che scappavano; oltretutto Nawal parla l’arabo per cui può fare da ponte e la fa molto soffrire il fatto che non ci siano interpreti arabi a fare questo lavoro…
Una ragazza di 28 anni sopperisce alla mancanze delle istituzioni?
Sì, lei come altri. Nawal aiuta a salvare vite umane; lei è una persona comune che si è presa questo impegno totalizzante perchè viene chiamata al telefono a tutte le ore del giorno e della notte; è stata a Lesbo a raccogliere le persone per portarle dalla spiaggia al centro di accoglienza, noleggiando un’auto proprio perchè ha visto che anche lì le istituzioni non riescono a far fronte al grosso flusso di migranti. Il suo, come quello degli altri, è un aiuto concreto e volontario.
Nawal ha detto: “ Dare a volte fa molto male, ma vi spiegherò perchè”…
Nel libro Nawal spiega le difficoltà, a volte, del “restare umani” perchè quello che si vede è orribile: in un passaggio molto forte, ad esempio, dice di aver paura di mangiare pesce perchè in fondo al mare i pesci si nutrono di ciò che trovano. E’ difficile anche controllarsi ogni volta che riceve una chiamata per aiutare persone che sono nel panico, quindi è una fatica fisica e psicologica e Nawal sente a tal punto la responsabilità da dire “Se non rispondessi alle telefonate, sarebbe quasi omissione di soccorso”.
Qual è il collegamento tra le morti in mare e la nostra democrazia?
Questa domanda è centrale perchè la democrazia è sopperire ai bisogni degli esseri umani: in questo caso si parla di diritti delle persone e, nel momento in cui ci sono persone che avrebbero diritto alla protezione internazionale a vari livelli e non si riescono a salvare, questo è antidemocratico. Soprattutto quando sappiamo che le possibilità ci sono, per esempio attraverso i canali umanitari e gli accordi tra gli Stati.
Il libro verrà presentato martedì 2 febbraio alle ore 21 alla Libreria Les Mots a Milano.