Quando Nina Simone ha smesso di cantare
14 febbraio del 2005: davanti l’Hotel St. Georges, in Piazza dei Martiri, nel cuore di Beirut, un camion bomba trasformava la città in un inferno: 22 automobili bruciate, mani e piedi di donne e uomini giacevano sparsi nella piazza. Rafiq Hariri, chiamato anche “Mister Libano”, colui il quale si era prodigato a ricostruire la sua terra dopo la guerra civile, ex Primo Ministro del Libano viene ucciso insieme alla sua scorta.
In occasione dell’ ottavo anniversario dell’attentato, pubblichiamo la recensione del libro Quando Nina Simone ha smesso di cantare.
Quando Nina Simone ha smesso di cantare
di Monica Macchi
Un uomo che respira laicità e insegna la poesia e la leggerezza amando contemporaneamente donne e Gitanes, poker e alcol. E il jazz. Quando Nina ha smesso di cantare (Darina al-Joundi e Mohamed Kacimi, Einaudi 2009, pp 150, Euro 14,50) racconta un Paese di cedri e di pallottole trasformato dalla guerra in una terra dove “essere donna non è facile ed essere libere è solo un sogno. O una condanna”. Nel 1975 esplode la guerra civile in un incancrenirsi di faide tra musulmani, cristiani, drusi, palestinesi, siriani, a cui si aggiunge pure il tocco israeliano. La guerra trasforma la vita di Darina e anche quel modello di vita ispirato agli ideali del maggio francese e al “vietato vietare” che intesseva legami impalpabili tra gli intellettuali dissidenti che si ritrovavano tutti lì, a Beirut. E il regalo paterno di essere liberi è diventato per Darina la condanna di essere soli: imperdonabile e pericolosissima in una società basata sul senso di appartenenza. E Darina convinta di dover morire da un momento all’altro ha reagito prendendosi tutto, tutte le esperienze condensate in ogni momento possibile alcol, sesso, droga ritagliandosi il proprio spazio di ribellione. Straniera ovunque, Darina si ricorda dell’idea di libertà della sua infanzia il giorno del funerale del padre quando toglie la salmodia coranica e la omaggia facendo risuonare la canzone Save me di Nina Simone per continuare a cercare “una libertà di merda in un paese di merda”. Troverà le torture e il manicomio, nel labirinto di una follia che solo le parole hanno saputo dipanare; le parole e la consapevolezza di voler vivere nonostante tutto… anche a costo di stare al loro gioco, di farsi addomesticare in una società che per sopravvivere affibbia etichette e ingabbia. Il giorno stesso in cui esce dal manicomio va direttamente in aereoporto e vola a Parigi dove incontra lo scrittore Mohamed Kacimi e a quattro mani creano uno spettacolo teatrale (da cui poi è stato tratto questo libro) nel cui prologo si avverte che la libertà delle donne per gli uomini “rimarrà sempre una lingua straniera”. |