Attacchi terroristici e stato di emergenza
L’Associazione per i Diritti umani ha rivolto alcune domande al giornalista Lorenzo Giroffi per parlare di terrorismo e stato di emergenza. Ringraziamo molto Lorenzo Giroffi per la sua disponibilità.
“Stato di emergenza”: come ci si difende dagli attacchi terroristici? Domanda ostile, a cui non sarei mai in grado di rispondere se non con un’opinione. Credo che la maniera migliore sarebbe quella di capire realmente l’origine dell’odio, senza soffiare sulle paure. Come vivono i francesi la quotidianità? In Francia vige ancora lo Stato d’emergenza, ciò vuol dire che le leggi sono divenute speciali, come quando ci si trova in uno scenario di guerra. Le perquisizioni in metro o all’ingresso di grandi spazi commerciali sono di routine. Tutto ciò significa che le prefetture e la polizia possono usufruire di un potere che liberamente può scavalcare la magistratura. Si sono moltiplicate le irruzioni notturne, i provvedimenti di obbligo di firma e gli arresti domiciliari. Quasi sempre si tratta di misure prese ai danni di appartenenti alla comunità di fede islamica presente nell’area nord di Parigi. Prevenzione e pregiudizio a questo punto si mescolano. Qual è la situazione nei Paesi in cui sei stato ultimamente? Sono stato in Burkina Faso, dove ho condotto un’inchiesta sul mercato dell’oro clandestino che arriva fino in Europa e ho viaggiato nel nord del Paese, al confine con il Mali, lì dove, con la caduta della dittatura di Compaoré, le infiltrazioni delle cellule terroristiche sono sfuggite agli affari politici. Dunque il recente orrore accaduto a Ouagadougou, a guardare bene, non appare poi così sorprendente. Mentre in Venezuela ho seguito il cambiamento politico e la devastante crisi economica che poco hanno a che vedere con le problematiche di cui stiamo parlando. A tuo parere, quali potrebbero essere le prime pratiche per affrontare il fenomeno del terrorismo islamico, da parte dell’Occidente e da parte del Paesi mediorientali? La religione è il pretesto per servirsi di un malessere che va oltre una lotta d’identità e ad essere ancora più precisi quanto accaduto a Parigi ha davvero poco a che vedere con i Paesi mediorientali. Senza inoltrarsi nelle cause del colonialismo e dei recenti conflitti, si possono ascoltare gli accenti dei responsabili degli attentati a Parigi o degli orrori in Siria e Iraq. Sono slang britannici e francesi. Qualcosa non ha funzionato nelle periferie d’Europa, nelle quali la solitudine e la mancanza di un progetto sono sempre dietro l’angolo. Così attecchiscono gli estremismi o forme di qualsiasi distorsione della realtà. Le mafie per anni non hanno preso la propria manovalanza tra gli emarginati sociali? Quali, invece, le motivazioni che spingono i giovani ad arruolarsi delle fila dell’Is ? Mi ricollego alla risposta di prima: sentirsi protagonista di qualcosa. Non credo però che provvedimenti come la déchance de nationalité, in discussione in queste settimane in Francia, con la quale i possessori di doppia nazionalità, sospettati di terrorismo, potrebbero perdere quella francese, sia la strada da percorrere, perché s’ignorano i reali problemi, che non arrivano poi da così lontano.
Consigliamo, infine, la visione del film Made in France di Nicolas Boukhrief che spiega molto bene il clima e le incomprensioni rispetto al tema. |