Il poeta libanese cantato da Fairouz e Marcel Khalifa
di Monica Macchi
Il venditore del tempo, per la prima volta tradotta in italiano l’opera del poeta libanese Talal Haidar. L’introduzione è di Simone Sibilio.
“La poesia non chiede in che lingua arriva
ma chiede dove sei diretto
e quali porte sei riuscito a spalancare”
In guerra ho imparato che
niente è più prezioso del silenzio,
perché solo dopo aver toccato l’abisso
puoi iniziare a ricostruire
La mia poesia è la valle della Beqa’:
l’acqua, le pietre, il sonno, la caffettiera ed il cavallo
Talal Haidar è stato paroliere di Fairouz e di Marcel Khalifa: e proprio l’incontro tra musica e poesia costituisce l’unico riferimento nazionale in grado di superare le divisioni e le barriere identitarie di quel Libano che Corm ha definito “la grande malata del XX secolo”. Ma Talal ha anche contribuito a far riconoscere dignità letteraria al dialetto libanese e alla poesia vernacolare relegata a folklore per fattori ideologici (minaccia la lingua araba pura intesa come sacralità e vessillo identitario della Umma): per questo gli è stato impedito di entrare in Egitto per più di dieci anni. In realtà si è trattato di scelta estetica e filosofica contro-egemonica che abbatte le barriere sociali e culturali riproducendo il ritmo della vita quotidiana. Ma anche di una scelta contro il fenicismo di Shiha e Aql che rigetta l’identità arabo-islamica mentre per Talal il libanese è una” “lingua araba evoluta nel tempo” arricchita dalle contaminazioni culturali e civili e soprattutto dal dinamismo di Baalbek e della valle della Beqa. Si sofferma poco sull’esperienza della guerra civile ma assume la Palestina a paradigma della perdita e contemporaneamente dell’anelito di liberazione.
Palestina:
il tuo viso, un ariete che grida in preda al terrore
un anello d’oro, un soppalco, un baule del corredo
il saccheggio dei campi
e tu
libro di storie e re del tempo
sei il tatuaggio
su mani di nomadi persi nel buio