Una sfida che non ci possiamo permettere il lusso di perdere
di Paolo Branca (audizione alla V commissione della Regione Lombardia, 15.1.15, h. 16.30)
Sono docente di Lingua e Letteratura Araba e di Islamologia all’Università Cattolica di Milano, conoscitore e spesso amico di molti musulmani ‘milanesi e lombardi’ fin dagli anni ’70, quando ero ancora studente, di recente consulente sia del Ministro degli Interni Maroni nel Comitato per l’Islam Italiano, del Comune di Milano, collaboratore della Diocesi… Ma in nessuna di queste vesti e unicamente in qualità di esperto in materia sento di dovervi parlare con la massima franchezza. La più che trentennale inerzia che ha caratterizzato in tutta Italia la gestione del complesso e delicato tema dei luoghi di culto islamici ci ha portati ad averne circa 800 sul territorio nazionale, sale di preghiera ‘camuffate’ per forza maggiore in circoli culturali o associativi, quasi sempre in collocazioni fortunose e poco dignitose, dirette da persone spesso volonterose ma non di rado inadeguate, con legami più o meno evidenti con movimenti o correnti religiose dei paesi d’origine spesso appiattite su una visione ideologica della fede che determina molte opacità e che in qualche caso è addirittura sfociata in reati.
Il mio profondo rispetto per una nobile tradizione religiosa cui siamo legati per radici condivise quasi quanto all’Ebraismo, unitamente all’amore per la mia città e al comune destino che già stiamo condividendo nella nostra ormai pluralistica società non mi consentono più di tacere, di fronte ai possibili rischi, ma ancor più davanti alle potenzialità positive che potrebbero derivare da imminenti scelte su un tema di tale e cruciale rilevanza. Non solo è auspicabile, ma inevitabile un netto salto di qualità. Relazioni di amicizia o affinità ideologiche vanno messe da parte, una volta tanto, per promuovere qualcosa che sul medio-lungo periodo contribuisca a mutare un clima di sospetto e pregiudizio che si è creato, mantenuto e va acuendosi per responsabilità di tutte le parti in causa. Cercare di sfruttare per interessi particolaristici o di corto respiro questa opportunità rimanderebbe di decenni una svolta quanto mai necessaria e urgente. Mi rendo conto della complessità e della delicatezza della questione, ma non vi nascondo che ciò che temo di più è il perpetuarsi di una mancata gestione del fenomeno la quale non può e non deve incagliarsi in logiche meramente e falsamente ‘securitarie’. Quello che si decide di non gestire, infatti, diventa inevitabilmente qualcosa che si subisce: mantenere fuori dall’ufficialità e in uno stato di totale deregulation le sfide che una realtà religiosa già e irreversibilmente pluralistica ci pone davanti, finisce per favorire un’enorme area grigia che col tempo si consolida come fosse un corpo estraneo o una sorta di società parallela di cui alla fine ci si vedrà costretti a prendere atto, seguendo logiche emergenziali o di sanatoria purtroppo già sperimentate in altri campi e rivelatesi sempre fallimentari.
Naturalmente resta aperto il dossier della regolarizzazione di tutti gli altri luoghi di culto, e non solo di quelli musulmani, sul nostro territorio. I due livelli non vanno confusi anche per evitare ulteriori alibi che ci condannerebbero a restare nella medesima palude ancora a lungo, a discapito delle giuste aspirazioni e delle legittime preoccupazioni degli uni e degli altri. Con molti, e non da ieri, sto sollecitando questo orientamento che mi pare l’unico capace di farci uscire da un penoso e dannoso stallo dal quale una metropoli europea e la regione di cui essa è capoluogo – che oltretutto si approssima ad ospitare l’Expo ormai imminente – non può più tollerare di rimanere bloccata e su cui si misura, permettetemi di richiamarlo, la credibilità delle stesse istituzioni. A differenza degli altri sistemi politici, la democrazia è ‘costretta’ a funzionare per non compromettere la sua stessa legittimità: essa si caratterizza più per le buone pratiche che sa promuovere, sostenere e premiare che per le necessarie ma mai esclusive azioni di prevenzione e repressione di possibili irregolarità e disfunzioni.
Non a caso l’istituzione che da molti anni mi è stata più vicina e ha offerto preziose occasioni di formazione e di maturazione a numerosi musulmani italiani di nuova generazione è stato il Consolato degli Usa. La dinamicità della società americana, che tanto ci affascina per le opportunità che sa garantire a chi desidera darsi da fare e contribuire al bene comune, è anche il sistema migliore per mantenere a livello residuale chi invece si isola rinunciando alla partecipazione per incapacità o, peggio, per antagonismo.
Il mio è in definitiva un accorato invito affinché voi facciate e facciate bene il vostro lavoro. Esortazioni e critiche non le risparmio certamente neppure agli amici musulmani, sia quelli strutturati in forme associative, sia quelli facenti parte di una larghissima ‘maggioranza silenziosa’ che potrebbe essere indotta a ridurre la propria identità religiosa al rango di una questione puramente rituale e individualistica, quasi da dissimulare anche a motivo di potenti pregiudizi che sempre più spesso si configurano come espressioni di vera e propria islamofobia. Sono certo che in luoghi di culto dignitosi e ben gestiti, la gran parte di costoro troverebbe finalmente quel rispetto e quel riconoscimento senza i quali nessuna autentica integrazione potrebbe mai avvenire e contribuirebbe a rendere le moschee ‘normali’ centri di aggregazione e di spiritualità come sono le sinagoghe e le chiese. Pur senza negare le peculiarità della fede islamica e perfettamente consapevole delle tensioni che a essa sono legate soprattutto nei paesi d’origine, resto convinto che lasciare le cose come stanno o renderle ancor meno gestibili con ulteriori appesantimenti burocratici o labirintiche regolamentazioni sia la prospettiva meno efficace, anche sul decisivo versante della sicurezza che anzi si aggraverebbe fino alla paralisi totale se ancora una volta un ‘eccezionalismo’ troppo sbrigativamente e meccanicamente attribuito a tutti i musulmani indistintamente continuasse a tenerci tutti, noi e loro, in ostaggio.
Le condizioni affinché ciò possa accadere, a mio parere, sono con tutta evidenza le seguenti: accanto a una regolarizzazione dell’esistente (della quale possono ovviamente far parte anche provvedimenti di chiusura di luoghi che per varie ragioni non potranno perdurare) e senza forzature che riducano il sano pluralismo delle comunità musulmane presenti sul nostro territorio, sarebbe auspicabile almeno un grande centro di studi e iniziative culturali qualificato con sala di preghiera annessa, ma la cui mission principale sia quella di far conoscere e valorizzare, non solo per i musulmani ma per tutti, la ricchezza spirituale e l’eredità culturale di una delle più grandi civiltà del Mediterraneo e del mondo intero; il partner principale dovrebbe essere un’istituzione culturale islamica di livello internazionale alla quale potranno affiancarsi le organizzazioni musulmane territoriali che purtroppo non possiedono ancora né i requisiti, né il personale, né il coordinamento necessario, ma anzi sono spesso tra loro concorrenti, con leadership talvolta inamovibili, litigiose e carenti sia dal punto di vista della trasparenza che da quello del pluralismo (durante il travaglio egiziano, e non solo, si son verificate gravi frizioni interne tra fedeli di diverso orientamento politico durante gli stessi riti del Ramadan 2013).
Pur non essendo un giurista, non posso evitare di rilevare che alcuni degli emendamenti di cui ho conoscenza configurano profili d’incostituzionalità palesi e già esclusi da più di una sentenza e mi permetto di concludere citando un brevissimo passo del parere sui “Luoghi di culto islamici” del suddetto Comitato per l’Islam italiano nominato dall’allora Ministro dell’Interno R. Maroni:
“non è ipotizzabile una confessionalizzazione delle leggi, Né tantomeno una regolamentazione specifica che riguardi l’islam, poiché pur in presenza di una lacuna normativa che interessi maggiormente la sensibilità di alcune specifiche comunità, le leggi debbono essere intese erga omnes e uguali per tutti i cittadini” (Roma, 3.3.2011).
Vi ringrazio della cortese attenzione e vi lascio questo piccolo omaggio, tratto da una delle opere di letteratura che personalmente considero un ineguagliato capolavoro:
“Quelle razze che vivevano porta a porta da secoli non avevano avuto mai né il desiderio di conoscersi, né la dignità di sopportarsi a vicenda. I difensori che, stremati, a tarda sera abbandonavano il campo, all’alba mi ritrovavano al mio banco, ancora intento a districare il groviglio di sudicerie delle false testimonianze; i cadaveri pugnalati che mi venivano offerti come prove a carico, erano spesso quelli di malati e di morti nei loro letti e sottratti agli imbalsamatori. Ma ogni ora di tregua era una vittoria, anche se precaria come tutte; ogni dissidio sanato creava un precedente, un pegno per l’avvenire. M’importava assai poco che l’accordo ottenuto fosse esteriore, imposto, probabilmente temporaneo; sapevo che il bene e il male sono una questione d’abitudine, che il temporaneo si prolunga, che le cose esterne penetrano all’interno, e che la maschera, a lungo andare, diventa il volto. Dato che l’odio, la malafede, il delirio hanno effetti durevoli non vedo perché non ne avrebbero avuti anche la franchezza, la giustizia, la benevolenza. A che valeva l’ordine alle frontiere se non riuscivo a convincere quel rigattiere ebreo e quel macellaio greco a vivere l’uno a fianco all’altro tranquillamente?”
(M. Yourcenar, Memorie di Adriano)