“Stay human: Africa!” : Il sistema africano di tutela dei diritti umani
di Veronica Tedeschi
Strumento: Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli
Entrata in vigore: 21 ottobre 1986
Ratifica: 54 Stati (Tutti gli Statii tranne Marocco e Sud Sudan)
Controllo della Carta: Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli
Entrata in vigore: 1998
Ratifica del protocollo: 27 Stati
Accesso alla Corte: 5 Stati
Sentenze emesse: 0
Per raccontare l’evoluzione e l’attualità del sistema africano di tutela dei diritti umani bisogna partire da due considerazioni critiche. La prima è la scarsa efficacia del sistema africano nella tutela dei diritti fondamentali, infatti solo cinque paesi hanno accettato che individui e organizzazioni internazionali possano avere accesso diretto alla Corte africana dei diritti dell’uomo. La Corte africana non ha ancora emanato nessuna sentenza di condanna nei confronti di nessuno Stato africano (a differenza della Corte europea che è oberata di sentenze da scrivere).
La seconda considerazione si basa sulla non effettività di questo sistema per la tutela dei diritti umani nei confronti delle sovranità degli Stati africani. Infatti, questo sistema non si limita ad affermare e tutelare i diritti a carattere individuale ma è un sistema diretto a dare tutela anche ai diritti collettivi (è l’unico sistema che tutela, per esempio, il diritto ad un ambiente soddisfacente).
In questo senso, la carta africana è molto ricca normativamente, non si limita ad affermare diritti civili e politici ma anche quelli economici, sociali e culturali; diritti pienamente giustiziabili al pari dei diritti individuali. Bisogna, però, specificare che i diritti collettivi qui contenuti, non sono in competizione con i diritti individuali, nonostante la protezione del collettivo garantisca una maggiore tutela nel contesto africano, vista la sua storia e le sue vicissitudini.
Fatta questa panoramica iniziale proviamo ad approfondire le motivazioni di una così importante scarsa effettività. Partendo dalla sua approvazione, la Carta africana – in vigore dal 1986 – prevedeva un sistema di controllo basato su una Commissione africana dei diritti dell’uomo e dei popoli; gli Stati africani, però, non erano pronti ad accettare un’autorità che potesse interferire nella loro sovranità, che potesse addirittura condannarli. La Commissione era un organo d controllo formato da esterni che emettevano decisioni non vincolanti. Era prevista la possibilità di presentare reclami individuali ma, prima di poter analizzare il caso, era necessario il “benestante” dei capi di stato e di governo. Questa clausola alla quale dovette sottostare la Commissione nei suoi primi anni di vita, si esplicava in un non corretto utilizzo dei ricorsi alla Commissione che, vincolati sempre dalla politica degli Stati, non finivano mai ad emettere una condanna.
Dal 1995 la situazione mutò leggermente e la Commissione africana riuscì ad entrare nel merito dei reclami senza dover attendere il placed politico.
Passato questo ostacolo era necessario pensare ad un altro punto critico: la Commissione emetteva decisioni non vincolanti, era necessario porre rimedio a questo ostacolo considerato lo scarso effetto che stava avendo. Per tale motivo nel 1998 fu adottato un protocollo aggiuntivo alla Carta diretto alla creazione di una Corte africana dei diritti dell’uomo e de popoli con la prospettiva di allineare il sistema africano di protezione ai sistemi europeo e interamericano.
Nel 2008, infine, gli organi politici dell’Unione Africana, decisero di fondere l’istituente Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli con la Corte di Giustizia dell’Unione Africana. La motivazione ricadde sulla povertà del continente africano, il quale non poteva di certo permettersi il lusso di due tribunali.
Quello che sfuggì, o che non fu considerato, è la diversa natura dei due tribunali, nati per giudicare comportamenti e soggetti diversi; fonderli è equivalso ad azzerare la loro autenticità e, in un certo senso, tornare indietro nella storia di continente che, dopo anni di lotte e sofferenze, aveva pensato ad uno strumento che tutelasse esclusivamente i diritti umani.
Inoltre, il Protocollo del 2008, non ancora in vigore, che opera la fusione tra la Corte di giustizia dell’Unione africana da una parte e la Corte africana dei diritti dell’uomo e dei Popoli dall’altra parte in un’unica Corte denominata Corte africana di giustizia e dei diritti dell’uomo riproduce l’esigenza della previa dichiarazione da parte degli Stati per l’accoglimento delle richieste individuali e quelle provenienti dalle ONG. Se non abbondano le dichiarazioni statali c’è da temere che la Corte sia un apparato di giustizia per gli Stati e non per gli individui.