Le donne musulmane, il Progetto Aisha e la lotta alla discriminazione (anche in bicicletta)
Milano: da Via Padova a Piazza Oberdan, in bicicletta.
Un’iniziativa – che si è svolta domenica 13 marzo – organizzata dalle associazioni islamiche dopo la dichiarazione dell’imam di Segrate che aveva considerato inopportuno, per le donne, muoversi con le due ruote. La dichiarazione è stata ritrattata, ma la biciclettata è stata significativa anche per dire NO alla violenza e alla discriminazione nei confronti delle donne.
In questa occasione, l’Associazione per i Diritti umani ha rivolto alcune domande a Sumaya Abdel Khader, attivista, che ci ha illustrato il PROGETTO AISHA e la ringrazia tantissimo.
Il progetto è a cura del CAIM (Coordinamento delle Associazioni Islamiche di Milano e Monza e Brianza) e si pone l’obiettivo di operare sul tema della violenza e delle discriminazioni contro le donne, in particolare delle donne musulmane.
In che modo si declina il progetto? Quali le attività proposte?
Il progetto si declina attorno a tre punti principali: la sensibilizzazione, la formazione e la prevenzione/assistenza.
Per quanto riguarda la sensibilizzazione, attaverso alcune campagne informative, vogliamo far prendere coscienza dell’esistenza del problema della violenza contro le donne all’interno della comunità islamica e cercare di parlarne. Il secondo passo riguarda la formazione di donne che diventino punti di riferimento per coloro che si trovano in difficoltà e questo lavoro formativo verrà svolto in collaborazione con i centri istituzionali. La terza fase si rivolge agli imam e si pone l’obiettivo di metterli in grado di riconoscere la violenza (spesso sottovalutata) per poi avviare dei percorsi di aiuto della vittima.
Il progetto, quindi, si rivolge anche agli uomini?
Sì, in fonso sono gli imam che si occupano dll’educazione all’interno delle comunità musulmane.
Abbiamo chiesto loro di inserire – anche nei sermoni del venerdì – discorsi legati al rispetto della donna o della parità di genere proprio per lanciare un messaggio chiaro ai fedeli e cominciare a cambiare la mentalità, laddove ce n’è bisogno.
L’esperienza della migrazione può aumentare il rischio di violenza sulle donne?
In generale sì, ma i dati dicono la violenza contro le donne è uguale fra italiani e immigrati.
La migrazione può essere un fattore di rischio perchè crea frustrazione, stress e tanti altri elementi che possono creare disagi all’interno delle famiglie: ad esempio, nelle famiglie sudamericane, dove le donne sono fortemente emancipate, alcuni uomini reagiscono con la violenza proprio perchè frustrati. Comunque, al saldo dei conti, anche in base ai dati forniti dall’Associazione Giuristi, l’esperienza migratoria non incide così tanto.
Quali sono le altre radici in cui si annidano violenza e discriminazione?
Per quanto riguarda la comunità musulmana, un altro elemento è dato dai retaggi culturali: alcune persone provengono da Paesi in cui le tradizioni mettono la donna in secondo piano, o sanciscono la punizione corporea come giusta così come le mutilazioni. Non è, quindi, un fattore religioso, ma culturale.
E’ vero, poi, che la violenza è “giustificata” anche da una lettura errata del testo sacro perchè i versetti vengono letti in modo decontestualizzato, alla lettera, senza considerare l’epoca in cui sono stati scritti.
In che modo si può agevolare l’inclusione delle donne musulmane nella società italiana ?
Innanzitutto cominciando a cambiare lo sguardo: non sono tutte sottomesse, povere e senza istruzione. Nei confronti delle immigrate, in particolare, non bisogna aspettare che siano loro a fare il primo passo per venireci incontro, ma lo dobbiamo fare noi che abbiamo una situazione di vita più stabile.
Se vengono coinvolte in attività di vario genere, la loro risposta è molto positiva perchè si sentono aiutate nell’uscire dai loro schemi e nel vedere se stesse in una nuova prospettiva.