“LatinoAmerica: i diritti negati”: America Latina si scrive al femminile
Seconda parte
di Mayra Landaverde
La prima parte di questo articolo è stato pubblicato l’otto marzo, festa della donna.
In Latinoamerica (e nel mondo) ci sarebbe ben poco da festeggiare. Queste sono soltanto alcune donne che per le loro lotte sono state incarcerate, minacciate, uccise.
Berta Càceres è stata uccisa a casa sua mentre dormiva il 2 Marzo scorso. Le hanno sparato.
La versione ufficiale del suo omicidio è la rapina finita in tragedia.
Nessuno ci crede. Perché Berta Càceres era una grande attivista del COPINH Consiglio delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras. Ha organizzato, fra altre cose, una protesta pacifica per impedire la costruzione di un complesso idroelettrico che avrebbe seriamente compromesso l’ambiente e soprattutto le 600 famiglie che abitano quella zona dell’Honduras.
Nel corso degli anni aveva subito numerose minacce e per questo motivo ha dovuto mettere al sicuro i propri figli trasferendoli in Argentina.
Nestora Salgado è stata in prigione per più di due anni in Messico. Era coordinatrice della polizia di Olinalà nella regione di Guerrero. Metre svolgeva il proprio lavoro ha scoperto che l’allora sindaco, Eusebio Gonzalez, si era fatto pagare dal crimine organizzato l’intera campagna elettorale. Quando lei ha messo in atto alcuni arresti legittimi poiché membro della polizia di Guerrero l’hanno subito imprigionata e accusata di sequestro e omicidio. Accuse che mai nessuno è riuscito a comprovare. Nestora è adesso in libertà e ha dichiarato alla CNN che le prove che ha nelle sue mani incriminano l’ex sindaco e le renderà pubbliche a breve.
Frida Khalo non è stata minacciata né uccisa né imprigionata. Tutt’altro: era una donna incredibilmente libera e moderna. Ma era donna. Negli anni quaranta in Messico. Ed era la moglie ( una delle ) di Diego Rivera. A Frida Khalo è stata da sempre negata la possibilità di diventare famosa perché era la donna di qualcuno. Lei adesso è famosa, ma non lo è stata quando era viva. Il peso di un marito così tanto noto e importante come Rivera le ha fatto ombra per un lunghissimo periodo. Invece la sua arte è forte, determinata e piena di passione. Ogni suo quadro ha un’anima ribelle come lo era lei, fino all’ultimo dei suoi giorni. E’ morta a Coyoacàn a casa sua, dove ora c’è un museo dedicato a lei a qualche isolato della casa dove Trotskij ha vissuto ed è stato ucciso.
Marisela Ortiz Rivera, psicologa e maestra, è presidente dell’associazione “Nuestras hijas de regreso a casa” che a Ciudad Juárez si incarica di cercare giustizia sui casi di femminicidio. L’associazione da anni denuncia l’incapacità e la poca volontà da parte del governo statale e federale di far fronte al suo obbligo di garantire giustizia e aiuta le famiglie delle vittime. Gli attivisti di questa associazione sono spesso oggetto di minacce di morte. Amnesty International, e altre associazioni che si adoperano per la tutela dei difensori dei diritti umani nel mondo, più volte hanno lanciato campagne urgenti per chiedere alle autorità messicane garanzie per la sicurezza personale degli attivisti dei diritti umani a Ciudad Juárez, tra di loro anche Marisela. Attualmente Marisela Ortiz Rivera esce di casa solo se scortata da agenti di polizia.
Ricordiamo, infine, che nel novembre 2009 è stato ucciso, in circostanze poco chiare, proprio un giovane attivista di “Nuestras hijas de regreso a casa”.