26° “Stay human: Africa!” : Festival del Cinema Africa, Asia e America Latina: Africa, il futuro del continente “vero”
Anche questa settimana un articolo della rubrica “Stay human: Africa!”, a cura di Veronica Tedeschi, in occasione del Festival del cinema africano, d’Asia e America latina che si è da poco concluso a Milano.
“L’Africa è una fonte di risorse ancora da sfruttare per l’umanità”.
di Veronica Tedeschi (con la vignetta di “La Carruski)
Con queste parole, pronunciate da un intellettuale africano, si apre la seconda serata del 26° Festival del Cinema Africa, Asia, e America Latina. Marco Trovato, Direttore della rivista Africa, introduce gli argomenti della serata, che hanno come focus il futuro del continente africano.
Argomento forse spinoso ma sviscerato in modo minuzioso dal Direttore e dai redattori della rivista, i quali, continuamente a contatto con la realtà di cui scrivono, meglio comprendono le complessità e i punti di forza di questo continente.
L’immagine dell’Africa è ancora piena di pregiudizi e pietismo, indotti in primo luogo dal giornalismo italiano che molto spesso preferisce mettere in risalto le problematiche e non i punti di forza o le evoluzioni di queste popolazioni. Trovato, invece, dice di avere il “fiato corto”, il soggetto che lui studia è in continuo movimento, in continua evoluzione e per tale motivo gli capita di avere difficoltà nel raccontare un continente che continua a cambiare.
La parola passa ai redattori delle riviste “Africa” e “Africa e Affari”, giornalisti che passano 6 mesi su 12 in giro per l’Africa, per studiarla e per scriverne. Ricollegandosi all’ultima battuta di Trovato, Massimo Zaurrini – giornalista di Africa e Affari – inizia il suo discorso con un paragone tra i due grandi continenti, Europa e Africa. L’Europa è un continente vecchio, molto più lento nelle evoluzioni. L’Etiopia, per esempio, cresce e cambia a vista d’occhio, in pochi anni le baraccopoli sono state affiancate dai grattacieli; e ancora, si potrebbero fare decine di esempi di Stati africani in evoluzione. In questo senso, ci si porta dietro una brutta eredità del fare informazione; spesso il giornalismo italiano dà un racconto univoco di ciò che è l’Africa ma, come per l’Europa, questo è sbagliatissimo. Così come non possono mettersi a confronto un danese con un siciliano, è un paragone impossibile quello tra etiopi e senegalesi.
“Fino a pochi anni fa per andare in Africa, dovevo munirmi di due telefoni: il mio smartphone per la scheda italiana e un telefono vecchio per la scheda africana. Oggi, invece, sono costretto a portarmi due smartphone, perché la loro tecnologia si è evoluta e la loro scheda non funziona più in un vecchio telefono, come succede in Italia”.
Il secondo giornalista a prendere la parola è Raffaele Masto – redattore della rivista Africa. L’attenzione ora viene spostata sulle questioni geopolitiche e, nello specifico, del perché la popolazione africana non viene chiamata ad intervenire nel disegno del suo futuro. È così da sempre, già dai tempi della colonizzazione; oggi, però, continuando su questa linea di pensiero si fa un errore ancora più grave perché le popolazioni africane hanno una capacità creativa di inventare e creare il mondo che in Europa non c’è più.
Questo non vuol dire che i rischi non esistano. I problemi dell’Africa sono molteplici, a partire dalle classi dirigenti “dinosauri” che sono al potere da generazioni e che modificano le costituzioni per consentire loro il rinnovo del mandato. Le così dette “dittature familiari” sono il punto cruciale delle problematiche africane e bisognerebbe agire su queste. Nelle baraccopoli, dove le persone sono costrette ad arrangiarsi, vige una importante e funzionante economia di sussistenza che evidenzia una delle tante capacità di questa popolazione di arrangiarsi ed evolversi.
L’interessante dibattito continua con l’intervento di Gianfranco Belgrano – giornalista della rivista Africa – il quale continua a parlare di geopolitica discostandosi, però, dall’idea di Masto.
“Il presidenzialismo all’africana è voluto anche dalla classe bassa della popolazione che vive nelle campagne. Queste persone hanno paura di cambiare, sono molto conservatrici”.
A questo bisogna agganciare anche l’interesse di alcuni stati europei a mantenere certi dittatori, per esempio la Francia, avendo molti finanziamenti in Gabon, non ha alcun interesse a che questo Stato cambi presidente.
Per smuovere qualcosa realmente bisogna concentrarsi anche sulla cooperazione allo sviluppo e sul riconoscimento di partner sinceri che abbiano voglia di investire. La maggioranza dei progetti sostenibili in Africa funziona ma, ammette Belgrano, alcuni aiuti sono stati un fardello per lo sviluppo.
Si riprende l’esempio dell’Etiopia, stato emblematico a livello di evoluzione. Il pil sta correndo e la crescita è visibile ma non dimentichiamoci che il governo etiope soffoca la libertà di stampa e utilizza la violenza per reprimere la resistenza. O ancora, in Mozambico ci sono molte industrie in crescita ma nessuna di queste è in mano ad un mozambicano, queste aziende sono tutte di proprietà di occidentali o sudafricani. Bisognerebbe creare valore aggiunto, qualsiasi cibo coltivato in uno stato africano non dovrebbe essere esportato appena raccolto, se venisse fatta una prima lavorazione in loco sicuramente si potrebbero trarre dei vantaggi anche per la popolazione locale, bilanciando i guadagni.
La serata continua e si conclude tra dibattiti, domande e confronti, che hanno come punto fermo la presenza di una effettiva crescita in Africa che continuerà negli anni e che è necessario mettere in luce e far conoscere a tutti gli occidentali scettici.