“Hate crimes in Europe!”: Conversazione/Conversations
di Cinzia D’Ambrosi
“Possiamo fare un esperimento. Se usciamo di qui insieme, tu sei bianca ed io nero, vedrai che la polizia ci ferma nel giro di poco tempo. Ti prometto che e’ cosi’.” mi dice Abdul “Perche ci fermerebbero?” chiedo.
“Pensano che, se tu passeggi con me, e’ perche’ ti sto vendendo della droga. Non pensano che tu potresti essere un’amica”.
Sembra una conversazione come un’altra, ma il significato mi colpisce. Non perche’ nel discorso si rivelano e si riconfermano dei fatti spiacevoli con una carica scorcentante di razzismo, ma e’ il senso di rassegnamento su cui e’ difficile passare sopra. Khamis, seduto intorno al tavolo dice: “Sono del Sudan e sono ad Atene da otto anni. Ancora non ho un permesso di soggiorno. Conosco molti altri che aspettano da 15 anni. Che vita e’ questa? Alcuni di noi, nel frattempo, hanno avuto dei figli, ma anche loro non hanno un riconoscimento e quindi rimangono senza cittadinanza”.
Mi sono ritrovata spesso a partecipare a conversazioni in cui viene recepita la frustazione e la disperazione di non poter vivere la propria vita pienamente. Purtroppo non ci sono molte speranze di un processo piu’ veloce per coloro che aspettano che il loro caso venga valutato. Allo stesso tempo, un impegno verso un’integrazione che garantisca dignita’ e’ ancora distante.
Didascalia:
Molti come A. sono senza un permesso di soggiorno per anni/
Captions:
Many like A. are without a permit to stay for years.
Conversations
“We could do an experiment. If we go out together from this flat, you are white and I am black, in a little time the police will be stopping us. I promise you it will happen.” says Abdul. “ Why would they stop us?” I ask. “They would think that there is only one reason for which you will be walking with me, that I am selling you drugs. They would not consider that we could be friends”.
A conversation like any other, yet its meaning reveals and confirms that racism is so embedded that is like a matter of fact knowledge among the refugee community. Sadly, it is its resignation that is very difficult to digest. Khamis, sitting at the same table adds: “I am from Sudan and I am in Athens from 8 years. I still don’t have a permit to stay. I know people that have been waiting from 15 years. What kind of life is this for us? Some of us even have children now and even they don’t have papers. Children are left without a citizenship, paperless. I found myself often to participate in similar conversations. Frustration and desperation of a life on the margins are rampant. Sadly, there is no much hope for a faster process for cases to be evaluated and their status cleared. At the same time, there is no significant effort for a dignified integration.