Belle da morire: le antiche città sfregiate dalla guerra
di Giulia Carlini
Cosa lega la distruzione di un bene culturale ai diritti umani? E quali riflessioni possiamo fare di fronte alle desolanti immagini di una Palmira rasa al suolo? Sono queste le domande a cui stamattina il Festival dei diritti umani ha cercato di rispondere.
Ospiti d’eccezione Andrea Carandini (archeologo e Presidente del FAI), Tullio Scovazzi (professore di diritto internazionale all’Università Bicocca) e Gabriele Nissim (Presidente della Gariwo onlus) che, diretti dal giornalista Giancarlo Bosetti, hanno esposto i loro punti di vista sulla questione.
Mentre per Carandini la custodia della memoria ha a che fare con la morale e i diritti “poiché distruggendola si distrugge il futuro”, per Scovazzi non solo la distruzione di una cultura è già di per sé una violazione dei diritti umani, ma spesso è anche il primo passo verso crimini orribili come il genocidio.
Il simbolo della perdita di cultura e conoscenza non può che essere Palmira, un luogo che ci interroga su noi stessi. Carandini afferma che il Tempio di Bel poteva non essere perduto dal punto di vista conoscitivo, se solo si fossero utilizzate tecniche ormai note quali il rilievo a nuvola di punti tramite laser scanner, che riesce a cogliere e riproporre un oggetto tridimensionale in tutte le sue dimensioni. Rimangono invece solo le piante e le planimetrie, approssimazioni della realtà che non permettono una costruzione pienamente fedele all’originale. “Tutti parlano di memoria, ma non dei metodi per salvaguardarla” commenta con amarezza l’archeologo, il quale aggiunge che l’unico modo per salvarci dalla perdita della memoria culturale, insieme al laser scanner, è valorizzare la pluralità delle culture e delle società, anche di quelle di cui non condividiamo i valori.
Scovazzi ricorda i progressi fatti dal diritto internazionale nella protezione del patrimonio culturale, ma sottolinea la persistente mancanza di efficacia nel punire le violazioni, soprattutto perché molti tra i paesi più potenti del mondo e maggiormente coinvolti in conflitti armati (ad esempio Stati Uniti, Cina, Russia, Israele e Siria) non hanno ratificato lo statuto della Corte Penale Internazionale. In questi casi, è necessaria una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU per estendere la giurisdizione della Corte, evento molto remoto nel caso della Siria.
A Palmira non ci sono quindi tribunali a punire efficacemente le brutalità e non c’è alcun laser scanner. C’è stata però una piccola luce rappresentata da Khaled Asaad, l’uomo che per più di 40 anni ha diretto il sito archeologico della città.
Asaad è stato inserito da Nissim nel Giardino dei Giusti, dopo che il 18 agosto 2015 i jihadisti dello Stato Islamico l’hanno decapitato per poi appendere il suo corpo senza testa a un palo della luce. L’archeologo è rimasto a Palmira mentre tutti scappavano dalla furia dell’ISIS e, torturato per settimane in una cella, si è rifiutato di indicare il luogo in cui alcuni beni culturali mobili del museo erano stati nascosti.
Per Nissim, Khaled ha trasmesso un messaggio morale importante: l’uomo giusto è quello che difende il patrimonio culturale dell’umanità. Sembra banale, ma questo concetto era ignorato da troppi prima del suo sacrificio. Ora già si parla di istituire un tribunale internazionale per punire la distruzione dei beni culturali, e dell’invio di caschi blu in funzione protettiva.
Nissim sottolinea comunque l’umanità di quest’uomo mite e studioso che, pur avendo appoggiato il regime di Assad e ignorato le torture inflitte ai prigionieri nel carcere vicino al sito archeologico, è diventato con il suo sacrificio il martire simbolo della resistenza agli orrori della guerra. Un modo per ricordarci che gli eroi sono solo degli esseri umani come noi, che hanno preso la decisione più giusta nel mezzo delle avversità.
Nel documentario “Palmira, la meraviglia del deserto: viaggio nei siti UNESCO”, proiettato durante l’evento del Festival, Khaled Asaad, ha accompagnato gli autori Elisa Greco e Federico Fazzuoli (presenti in sala) tra gli stupefacenti resti della città, andati in gran parte distrutti circa dieci anni dopo per mano dell’ISIS.
Per Fazzuoli, Asaad era l’uomo di Palmira, in cui è nato e cresciuto lavorando al sito archeologico per tutta la sua vita. Non era solo la sua casa, per lui era come una figlia. E, come un padre non può abbandonare la propria figlia, lui non ha abbandonato Palmira.
“Nell’incontrarlo, gli chiesi di poter vedere Palmira come la vedevano i carovanieri che un tempo percorrevano la Via della Seta” racconta Fazzuoli, “lui era entusiasta, amava quel luogo. Nonostante lo conoscesse così bene e l’avesse avuto sotto gli occhi da tutta la vita, guardava e toccava i monumenti estasiato, con ammirazione. Lui e Palmira erano la stessa cosa”.
“Il dialogo tra la cultura occidentale e quella mediorientale è ciò che crea la pace permanente e non quella superficiale, che è fatta di oggi e non di domani”. Queste le parole pronunciate da Asaad nel documentario. Parole condivise dal presidente di Gariwo, secondo il quale per combattere l’ISIS e il fondamentalismo religioso serve una battaglia culturale. Bisogna capire il pensiero che muove e seduce così tante persone, andando oltre la semplicistica etichetta di terrorismo, altrimenti rimarremo sempre deboli di fronte a questa ideologia.
È altrettanto importante non lasciarsi abbagliare dalle manipolazioni di dittatori come Bashar al Assad che, dopo aver seminato morte e distruzione nel proprio paese, usa ferite come Palmira per apparire dalla parte dei giusti. Riferendosi all’evento tenutosi pochi giorni fa tra le rovine del sito archeologico, Nissim esorta il pubblico a “non credere a questo concerto”.
Intanto, l’unico modo per rendere giustizia a Palmira è tentare di ricostruirla al meglio con i mezzi disponibili, continuando con accresciuta passione il lavoro di ricerca archeologica: i monumenti distrutti facevano parte solo del 30% della città. Il restante 70% è ancora sotto terra, in attesa di essere esplorato e di riportare luce nel cuore di un paese annientato dalla violenza.