Un bacio: il film di Cotroneo, il bullismo, l’accettazione di sé e degli altri
Lorenzo ha sedici anni e ha già vissuto esperienze difficili: dopo essere stato affidato ad una famiglia estranea quando era più piccolo, ora viene adottato da altri genitori e si trascefersice, per questo, nella città di Udine. Lorenzo si mostra sicuro di sé, ma ha la necessità continua di rifugiarsi nel mondo della fantasia. Lorenzo è dichiaratamente omosessuale. Conoscerà Blu, figlia di imprenditori, aspirante scrittrice, reagisce con aggressività alle provocazioni perchè viene di continuo definita “ragazza leggera” dai compagni di scuola; al gruppo si unirà Antonio, di origini più umili degli altri, abile nello sport e che deve convivere con la perdita del fratello maggiore, morto in un incidente stradale.
Il gruppo si crea e si chiude in un’amicizia serrata e protettiva; i tre giovani erigono barriere e costruiscono un guscio per lasciarne al di fuori famiglie sensibili, ma inacapaci di comprendere i loro stati d’animo fino in fondo e coetanei superficiali e crudeli, maschi e femmine senza distinzioni. Tutto bene fino a quando il guscio si spezza a causa di un bacio: un gesto, un impulso, una richiesta di amore che tutto ottiene in cambio, tranne l’affermazione di quel sentimento. Lorenzo, Antonio e Blu saranno costretti ad affrontare gli aspetti più fragili e complicati della propria identità, a scapito di una serenità tanto fragile quanto loro stessi, ma riusciranno a trovare la forza di una ribellione che li farà crescere, con dolore sì, ma forse un po’ più liberi.
Jules, Jim e Catherine correvano insieme incontro o contro al mondo; la celebre scena del film di Truffaut viene omaggiata anche nella nuova pellicola di Ivan Cotroneo che – dopo La criptonite nella borsa, in cui faceva ossevare la realtà ad un bambino del meridione – torna a parlare di giovani con lo sguardo critico di tre adolescenti: Lorenzo, Blu e Antonio. Sposta la narrazione al nord, in una città di provincia dove gli occhi sono puntati più spesso su tutti, dove il pettegolezzo è facile così come una certa chiusura mentale, soprattutto verso chi si pone come anticonformista.
La timidezza di Antonio, la femminilità mista ad arroganza di Lorenzo, la finta spavalderia di Blu non rientrano nei canoni standardizzati di ragazze, ragazzi e adulti benestanti, omologati e sicuri delle proprie granitiche opinioni. E allora i tre outsiders decidono di fare “muro contro muro”: una solida amicizia contro il muro dei pregiudizi. Solo loro tre, tre solitudini che vanno a creare un nucleo isolato. Una monade che vaga nello spazio, subissata da scherzi, soprusi e insulti.
I genitori dei tre protagonisti sono presenti, ma sono anche loro persone con limiti e difficoltà: cercano di proteggere i propri figli, ma a volte i loro tentativi sono inadeguati. Importante, però, il discorso del padre adottivo di Lorenzo che dice al Preside del liceo frequentato dal figlio: “ Non voglio che mio figlio sia tollerato”. Il termine “tolleranza” implica una concessione, una sfumatura di sopportazione di una circostanza negativa; invece il film di Cotroneo sottolinea il valore della parola “rispetto”.
A proposito di sguardo: il regista – che con questo film riadatta un suo racconto insieme alla creatività delicata di Monica Rametta – non usa la cinepresa come strumento per raccontare e giudicare, ma osserva, mostra e tenta di capire da cosa siano dettati i comportamenti di tutte e di tutti. E’ una sguardo antropologico e sociologico, attento e profondo, che ricorda, per certi aspetti, Il capitale umano di Virzì. Una ricerca che parte dai giovani, per allargarsi alle famiglie e alla scuola, microcosmi (famiglia e scuola) in cui ci si allena a far parte della società, microcosmi in cui gli adulti dovrebbero essere modelli positivi, ma si rivelano spesso fallaci e in cui i più giovani devono imparare anche da soli a trovare la propria strada e ad affermare il diritto di essere accettati per quello che sono.
Cotroneo afferma la libertà di essere se stessi, ma non dimentica, giustamente, di sottolineare che l’affermazione di sé non deve mai essere disgiunta dalla comprensione e dal riconoscimento dei diritti e del valore degli altri.
Il gruppo formato da Lorenzo, Blu e Antonio finisce con l’essere una gabbia, uno spazio dove dare senso ad un’autoreferenzialità che allontana dal mondo esterno e questo è un altro sintomo di disagio. Per crescere, e farlo davvero, bisogna saper affrontare le circostanze con equilibrio, senza nascondersi dietro agli schermi della tecnologia, dietro alle fantasie e a mondi immaginari, dietro a rapporti virtuali o amicizie simbiotiche.
Tutti e tre i ragazzi urlano un forte bisogno d’amore, ma il sentimento vero si può affermare spezzando i cordoni ombelicali, qualunque essi siano: con un genitore, con un amico, con un fratello. Correre sì, incontro alla vita, non per fuggirla, ma per buttarcisi con entusiasmo. Ecco allora che lo stile del racconto cinematografico ricorda i videoclip, montaggio veloce e fotografia sparata, colonna sonora che unisce il passato ( i genitori che fanno parte della generazione degli anni’80, dell’edonismo reaganiano, del “tutto era possibile”) e il presente e quella canzone di Mika, intitolata Hurts che, a tradurne il testo, si capisce quanto sia diegetica con ciò che il film vuole dire.
Il look eccentrico di Lorenzo, le lettere che Blu scrive ad una sé grande e immaginaria, il fratello/feticcio di Antonio: tre maschere, tre alter ego, tre scudi verso una società cinica e ignorante, in cui il bullismo e l’omofobia negli istituti scolastici, dove si dovrebbero insegnare ben altri valori, va di pari passo con l’ottusità etica e politica, la mancanza di educazione e la violenza, spesso brutale in quest’epoca che alcuni studiosi, tempo fa, hanno definito come l’epoca “delle passioni tristi”.