Cosa si è raggiunto nel primo Summit Umanitario Mondiale
di Giulia Carlini
Il 23 e 24 maggio il mondo si è riunito a Istanbul per il primo Summit Umanitario Mondiale, promosso dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban-Ki Moon.
Il 2015 è stato un anno importante per gli impegni presi dalla politica internazionale attraverso numerose convenzioni quali l’agenda 2020 per lo sviluppo sostenibile, la COP21 e l’Accordo di Sendai.
L’obiettivo di Ban-Ki Moon era trasformare queste promesse in progetti concreti da attuare negli anni a venire. Per questo motivo, attraverso la sua Agenda per l’Umanità, egli ha invitato i leader mondiali a concentrare i loro sforzi politici su 5 focus principali:
- prevenire e risolvere i conflitti
- sostenere le norme del diritto umanitario internazionale a tutela dell’umanità
- rendere i processi umanitari e di sviluppo il più inclusivi possibile
- finalizzare le azioni umanitarie sul terminare il bisogno dell’aiuto
- investire nelle competenze locali in situazioni di fragilità, calcolando i rischi e incentivando risultati collettivi.
Il report del Segretario Generale ha quindi dato vita al primo Summit Umanitario Mondiale della storia, riscuotendo molto successo: 9000 i partecipanti provenienti da tutto il mondo, inclusi 55 capi di Stato e di Governo, centinaia di rappresentanti del settore privato e migliaia di persone dalla società civile e dalle ONG. Un vero e proprio tour de force umanitario composto da 7 tavole rotonde, 15 sessioni speciali, 132 eventi satellite, e due giorni di riunione plenaria.
Moltissime le iniziative, le alleanze, gli accordi e i progetti lanciati nel Summit per rispondere alla Call to Action del Segretario Generale. Grazie al suo carattere eccezionalmente aperto e multi-rappresentativo, il vertice è riuscito ad analizzare le sfide del nostro tempo sotto nuovi punti di vista, grazie alle differenti esperienze, risorse e capacità dei partecipanti.
Per quanto riguarda il primo punto dell’Agenda per l’Umanità, il dibattito si è concentrato sulle misure concrete di prevenzione ai conflitti da attuare già nei primi stadi delle crisi, e sulla creazione di una leadership politica in grado di risolvere pacificamente i conflitti tramite efficaci processi di mediazione a livello regionale ed internazionale in cui condividere le buone pratiche dei paesi usciti con successo dalle proprie crisi interne.
Il secondo focus è stato affrontato tramite l’avvio di misure concrete per il rispetto del diritto internazionale umanitario, con particolare risalto alla protezione delle donne dalle violenze sessuali e alla necessità di proteggere le strutture e il personale medico nelle zone di guerra.
Il discorso sull’inclusività dei processi umanitari ha visto invece protagonisti i migranti e gli sfollati interni, le donne, i giovani e i disabili, grazie a iniziative quali Education Cannot Wait – fondo per l’educazione nelle emergenze avviato con un impegno iniziale di 90 milioni di dollari – e la Carta per l’Inclusione delle Persone Disabili nell’Azione Umanitaria.
Si è riconosciuta la necessità di mettere al centro del processo decisionale le persone coinvolte dalle crisi, non più relegandole al ruolo di beneficiari, per riuscire a estirpare il bisogno di un intervento umanitario. Questo è stato il punto di partenza da cui lanciare numerose iniziative, come la Partnership di Preparazione Globale (che aiuterà i 20 paesi più vulnerabili a fronteggiare gli shock futuri entro il 2020), il Network delle Organizzazioni Regionali Umanitarie, l’Alleanza Globale per le Crisi Urbane e la Connecting Business Initiative (per unire le risorse e il know how del settore privato nelle situazioni di emergenza).
Infine, è stato sottolineato come ai bisogni umanitari si debba rispondere tramite un finanziamento adeguato e prevedibile. Per questo motivo i rappresentanti degli Stati Membri dell’ONU si sono impegnati per aumentare il Fondo Centrale di Risposta alle Emergenze fino a 1 miliardo di dollari, mentre i donatori e i partner umanitari hanno creato un Grande Patto con cui portare fino a 1 ulteriore miliardo di dollari i risparmi per l’azione umanitaria, da investire almeno al 25% direttamente negli attori umanitari locali e nazionali entro i prossimi cinque anni.