I diritti violati dei bambini in Yemen, tra matrimoni forzati e sanguinosi conflitti
di Giulia Carlini
Il film “La Sposa Bambina” della regista Khadija Al-Salami, narra la storia vera di Nojoom, la più giovane divorziata al mondo. Seguendo la tradizione yemenita, la ragazza è stata costretta a sposarsi a 10 anni con un uomo di vent’anni più grande di lei.
La realtà che la circonda tenta di soffocare la sua infanzia e i suoi sogni, oscurati dall’oppressione del marito e della suocera. Avendo pagato una generosa dote per averla, essi sono convinti di avere ogni diritto sulla bambina, che viene trattata come un mero oggetto, violentata e picchiata dal marito. Contro ogni previsione, Nojoom si ribella rifiutandosi di avere rapporti con lui e riuscendo a convincere un giudice a concederle il divorzio.
Patrocinato da Amnesty International Italia, il film denuncia una pratica purtroppo molto diffusa nelle zone rurali di paesi poveri come lo Yemen, dove le bambine sono considerate come un peso per le loro famiglie. Queste ultime le forzano in matrimoni fin dall’infanzia per poter trattenere la loro dote e salvaguardare l’onore della famiglia grazie alla loro “purezza”.
La situazione per le bambine e i bambini yemeniti è notevolmente peggiorata da marzo 2015, periodo in cui è iniziato il conflitto tra i ribelli Houthi (un gruppo di sciiti zayditi che da settembre 2014 ha preso il controllo di numerose regioni del paese) appoggiati dall’Iran, e la coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita che ha preso le parti del presidente yemenita Rabbo Monsour Hadi, garantendo inoltre per lui e il suo governo un rifugio.
Dall’inizio del conflitto si contano quasi 3 milioni di sfollati, più di 640 000 morti e 30 500 feriti. Tra di essi l’ONU stima che siano 785 i bambini morti e altri 1168 feriti nei combattimenti.
Secondo l’UNICEF circa 10 000 bambini al di sotto dei 5 anni sono morti tra il 2015 e il 2016 a causa della mancanza di cure mediche aggravata dal conflitto. Queste cifre vanno ad aggiungersi ai 40 000 bambini che ogni anno in Yemen muoiono prima del loro quinto compleanno.
Mentre più del 70% dei minorenni reclutati illegalmente nel conflitto è attribuibile ai ribelli Houthi, è la coalizione saudita (le cui bombe non hanno risparmiato scuole e ospedali) la responsabile del 60% di morti infantili nei combattimenti.
Il 2 giugno l’ONU ha perciò inserito l’Arabia Saudita nella lista nera dei violatori dei diritti dei bambini nei conflitti. Dopo le proteste di Riyadh, secondo cui i numeri erano stati “ampiamente esagerati”, il 6 giugno il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha deciso di rimuovere il paese dalla lista, in attesa di verificare i dati un’altra volta. Diversa l’opinione dell’ambasciatore saudita alle Nazioni Unite, il quale considera tale rimozione come “incondizionata e irreversibile”. Un’ennesima prova di debolezza da parte dell’ONU, duramente criticata dai difensori dei diritti umani di tutto il mondo.
Intanto, la pace in Yemen sembra più lontana che mai. La tregua annunciata l’11 aprile 2016 non è mai stata rispettata e gli unici risultati concreti ottenuti dai negoziati di pace (in corso dal 22 aprile in Kuwait grazie alla mediazione dell’ONU, e più volte sospesi) sono stati l’accordo di scambio della metà dei prigionieri dei due schieramenti, e il recente accordo del 6 giugno per la liberazione incondizionata di tutti i prigionieri minorenni da entrambe le parti.
La coalizione saudita ha recentemente minacciato di invadere Sana’a nel caso in cui il dialogo con gli Houthi fallisca, rendendo noto che le sue forze militari si trovano attualmente a soli 40 km dalla capitale. Il 6 giugno alcune milizie fedeli al governo yemenita hanno attaccato l’aeroporto della città di Aden, da tempo in mano ai ribelli Houthi, permettendo nelle ore successive il rientro in patria del Primo Ministro Ahmed bin Dagher e di alcuni ministri.
In questo scenario drammatico, a rimetterci è la popolazione civile ormai giunta allo stremo. La guerra ha provocato danni devastanti per 26 milioni di yemeniti, la maggior parte della popolazione ha scarso accesso ad acqua, cibo e cure mediche, mentre i campi profughi allestiti nel paese sono al collasso.
Da questo caos i combattenti dell’ISIS e di al-Qaida nella Penisola Arabica (AQAP) hanno tutto da guadagnarci: la loro violenza imprevedibile e capillarmente diffusa imperversa nel paese, creando scompiglio, aumentando il numero delle vittime tra i civili e minando le già esigue speranze di rispettare il cessate il fuoco.