L’ipocrisia del Migration Compact
di Francesco Martone (da Comune.info)
È stato presentato nei giorni scorsi il secondo rapporto del relatore speciale Onu sui crimini e violazioni dei diritti umani in Eritrea. Ennesimo atto di accusa verso un regime spietato quello di Isaias Afewerki, uno dei possibili beneficiari dei fondi previsti dal Migration Compact presentato anch’esso nei giorni scorsi a Bruxelles e figlio di una proposta avanzata da Matteo Renzi. Una proposta e un’iniziativa non solo improntata su un’approccio securitario, che mira a bloccare sull’altra sponda del Mediterraneo i flussi di migranti e possibili richiedenti asilo, ma rischia anche di consolidare e perpetuare le cause stesse di quelle migrazioni. L’idea di fondo è quella di sostenere i governi dei paesi di origine, e investire decine di miliardi di euro in infrastrutture, usando la leva degli investimenti privati, né più e né meno come pretende di fare il piano Jucker per l’Europa.
In realtà il Migration Compact è muto, cieco e sordo riguardo le vere cause dell’esodo di massa verso l’Europa, guerra e repressione, violenza e dittature. Ci sono certo coloro che cercano un futuro lavorativo in Europa ci mancherebbe ed è loro diritto fondamentale, perché le migliaia e migliaia di italiani che se ne vanno dal paese per costruirsi un progetto di vita altrove che sono, beneficiati dal loro colore della pelle? Il punto però è che per molti provenienti da altre zone di conflitto, passerebbe la visione secondo la quale il problema (per gli eritrei e non solo, si pensi ad esempio agli etiopi Omo e Oromo magari, vessati e espulsi dalle loro terre) sarebbe un problema di sviluppo, di crescita. Insomma non persone che fuggono per salvare la propria vita, ma migranti economici, ai quali proporre chissà quando un posto di lavoro a casa propria.
Diciamo le cose come stanno, se si dovesse fare un calcolo in termini di posti di lavoro, in Africa se ne dovrebbero “costruire” oltre ottocento milioni. E fino quando questi benedetti posti di lavoro non verranno creati e queste infrastrutture costruite quelle persone dove vanno? Magari in campi di concentramento trasformati in sale di attesa? Se invece si ragionasse in altra maniera, riconoscendo le vocazioni e le specificità di quei territori a creare reddito, non necessariamente attraverso il classico posto di lavoro, non necessariamente reddito in termini di Prodotto interno lordo o Indici di Sviluppo Umano, magari si riuscirebbe a dare la possibilità a milioni di persone di produrre il loro cibo, e dar loro accesso agli strumenti per determinare il proprio futuro. Questo è il primo elemento. Ma anche l’assioma secondo il quale la crescita porterà democrazia fa acqua da tutte le parti.
Chi controlla l’economia di quei paesi? Dove andranno le risorse economiche e finanziarie? Le parole della commissione di inchiesta sui crimini in Eritrea ci riportano alla realtà nuda e cruda, e mettono di nuovo a nudo la contraddizione se non l’ipocrisia dell’Europa e del suo Migration Compact. Insomma una spruzzata di umanitarismo e lotta alla povertà mainstream, per nascondere le vere questioni politiche e le cause del fenomeno migratorio, e addolcire la pillola amara della repressione “poliziesca” fatta di filo spinato e hotspot. Pillola amarissima per chi fugge dalla guerra o dalla repressione e la galera e si ritroverebbe dentro un’altra galera per poi essere rispedito a casa in attesa di un fantomatico “posto di lavoro”.
Ma non è che forse proprio per quel modello di sviluppo, a causa dell’illusorio mito della crescita e del “trickle-down” development praticato in Africa e non solo che migliaia di persone partono dall’Africa se non per sfuggire alla guerra o alla repressione, almeno in cerca di una vita più decente? Per non dimenticare che nel frattempo l’Unione Europea sta continuando a spingere sui quei paesi per l’attuazione rapida degli Accordi di Partenariato Economico (Epa o Economic Partnership Agreements) che rischiano di creare grave pregiudizio alla possibilità di quelle economie di svilupparsi autonomamente. E così facendo ricreando le premesse per nuovi esodi migratori. Sono altre le maniere di ripagare un debito ecologico e sociale accumulato verso quel continente. Mi pare invece che il gatto si morda la coda. Anzi ancora una volta è il gatto che si mangia il topo.