“VenerdIslam”: Stone cold justice
di Monica Macchi
“Mio nonno è un sopravvissuto all’Olocausto
E io non capisco.
Non capisco come siamo diventati persone
che fanno soffrire altre persone”
Guy Pavia (civile israeliano che scorta i bimbi palestinesi a scuola)
“Una politica per creare paura? Non vi è nulla di simile.
L’unica politica è quella di mantenere la legge e l’ordine, questo è tutto.
Se non ci fosse violenza, non sarebbe necessario applicare la legge”
Portavoce del ministro degli esteri israeliano
Questo film, prodotto da un gruppo di giornalisti australiani, denuncia l’uso sistematico della tortura da parte di Israele contro i bambini palestinesi e ruota attorno alle storie di alcuni ragazzi presi dalle loro case nel bel mezzo della notte ed interrogati da membri dell’esercito con metodi illegali, sottoposti ad abusi fisici, torture, costretti a false confessioni e spinti a raccogliere informazioni su attivisti palestinesi, per conto dei servizi segreti israeliani. Addirittura c’è il video dell’arresto di Wadi’a Mawadeh, un bimbo di soli 5 anni; l’intervista a Gaby Lasky, un avvocato israeliano che denuncia l’esistenza di due diversi sistemi giuridici e a Yehuda Shaul, il fondatore di Breaking the Silence (protagonista anche del documentario “This is my land Hebron” di cui potete trovare qui una recensione:www.formacinema.it/criticainternazionale/medio-oriente/187-my-land-is-hebron), un’organizzazione di soldati ed ex-soldati israeliani che prendono coscienza e testimoniano le loro precedenti violazioni dei diritti umani.
La tesi di questo lavoro è dunque che questi abusi non sono le azioni insensibili di alcuni “soldati canaglia”, ma una strategia organizzata e sistematica delle forze governative e di sicurezza israeliane per tenere la popolazione palestinese, in particolare i giovani, in uno stato permanente di terrore sopprimendo le diverse forme di resistenza all’occupazione israeliana. Accuse confermate da un rapporto dell’UNICEF del 2013 secondo cui i palestinesi dopo le incursioni notturne nelle loro case, vengono minacciati di morte e sottoposti a violenza fisica, isolamento e violenza sessuale: negli ultimi dieci anni, circa 700 ragazzi tra i 12 e i 17 anni sono stati arrestati, interrogati e detenuti a una media di due al giorno. Dopo confessioni estorte (in questo documentario il quattordicenne Qusai Zamara racconta di essere stato costretto a firmare una confessione scritta in ebraico, che non capisce) sono trascinati davanti ai tribunali militari le cui udienze durano in media 62 secondi a hanno un tasso di condanna del 99.74%: un’intera generazione di giovani traumatizzata.
In Australia questo documentario ha destato molto scalpore e ha costretto Julie Bishop (Ministro degli esteri) a condannare l’uso della tortura da parte di Israele affermando di essere “profondamente preoccupata per le accuse di maltrattamento dei bambini palestinesi” ma nello stesso tempo sottolineando che il “governo australiano accoglie gli sforzi che Israele sta facendo per affrontare questi problemi”… ad esempio ha smesso di (de)tenere i bambini di notte in gabbie all’aperto quando nevica!