Dico NO alla tortura!
di Giulia Carlini
Il 26 giugno, giornata internazionale contro la tortura, riporta sotto i riflettori un acceso dibattito nazionale ed internazionale purtroppo ampiamente marginalizzato. La tortura è infatti una pratica che nell’immaginario comune viene relegata in epoche o conflitti che sentiamo lontani da noi nel tempo e nello spazio. Ma è davvero così?
La tortura rimane largamente diffusa in tutto il mondo, tanto che solo tra il 2009 e il 2014 Amnesty International ha denunciato casi di tortura o maltrattamenti in 141 paesi e, secondo le sue ricerche, a partire dal 2013 sono stati utilizzati almeno 27 metodi di tortura, dai pestaggi alle finte esecuzioni, dalle bruciature con sigarette allo stupro.
Anche l’Italia negli ultimi 15 anni ha visto un succedersi di brutali episodi di violenza da parte delle forze di polizia: i casi Aldovrandi, Bianzino, Uva, Bonsu e Cucchi, per non parlare dei fatti della Diaz, ci riportano freddamente alla realtà.
Alla luce di ciò, è sconvolgente il fatto che nel nostro paese il reato di tortura non sia ancora stato inserito all’interno del codice penale, nonostante l’Italia abbia sottoscritto già nel 1988 la Convenzione dell’ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti (non ancora applicabile alla legislazione nazionale a causa della mancata ratifica), e nonostante l’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo vieti esplicitamente la pratica della tortura.
Nel 2010 una raccomandazione del Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU invitava l’Italia ad inserire una definizione esplicita di tortura nel codice penale, ma l’idea è stata al tempo fermamente respinta in patria. Soltanto nell’aprile 2015 la Camera dei Deputati ha approvato un decreto legge che introdurrebbe il reato di tortura nel codice penale, ma è a tutt’oggi ancora in esame al Senato.
Tra il silenzio dei media e la lentezza degli iter legislativi, c’è chi lotta senza sosta per l’introduzione del reato di tortura nel nostro paese. Prima fra tutti Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, ucciso in carcere nel 2009. Il 23 giugno Ilaria ha consegnato al ministro della Giustizia Orlando oltre 223 mila firme raccolte con la sua petizione “Contro ogni tortura: l’Italia approvi la legge entro il 2016” su Change.org. “Mio fratello Stefano è diventato un simbolo con quello che ha subito” racconta Ilaria, “ho portato al ministro la voce di tutti coloro che vogliono ancora credere nelle istituzioni”.
La campagna “Stop alla tortura” promossa da Amnesty International, portando avanti un lavoro iniziato negli anni Settanta che ha contribuito alla creazione di una Convenzione specifica in seno all’ONU, denuncia i governi di tutto il mondo che “spesso hanno vietato la tortura per legge ma l’hanno permessa nella pratica” colpendo nelle carceri e nelle stanze degli interrogatori “presunti criminali comuni, persone sospettate di costituire una minaccia alla sicurezza nazionale, dissidenti, rivali politici, per estorcere loro confessioni, per punirli, intimorirli, per privarli della loro dignità”.
Dopo ciò che è accaduto al giovane ricercatore Giulio Regeni in Egitto, forse anche l’opinione pubblica italiana ha aperto gli occhi sulla disumana brutalità che troppi esseri umani sono costretti a subire regolarmente. I tempi sono maturi per un cambiamento e le famiglie Regeni e Cucchi lo sanno bene: “Continuate a condividere la nostra battaglia, dobbiamo essere sempre di più a farci sentire” esorta Ilaria, “questo è solo l’inizio”.