Compleanno afghano – parole come medicine
di Marzia Devoto
Compleanno afghano – parole come medicine, è una produzione di Teatro Cargo, presentato al Teatro Menotti, Venerdì 24 giugno, di Ramat Safi e da lui interpretato e Laura Sicignano, da lei diretto.
Il “Compleanno afghano” è il compimento festoso del diciottesimo anno di Ramat, quel giorno è una meta: è il momento di fare il punto e raccontare la propria storia, con tutto il dolore e la gioia di esserci.
Ramat Safi è scappato da solo dall’Afghanistan, fuggito improvvisamente dal suo Paese perché una notte degli uomini armati sono entrati in casa sua, hanno ucciso suo padre, ferito lui e la madre. Ramat è stato costretto a salire su un camion e partire senza conoscere la destinazione.
Ha attraversato da solo Pakistan, Iran, Turchia e Grecia. E’ sbarcato miracolosamente in Italia minorenne dopo un viaggio a piedi durato più di un anno. In Italia è stato accolto in una comunità per minorenni rifugiati, dove ha incontrato tanti altri ragazzi arrivati da tutto il mondo dopo viaggi simili al suo. Qui ha imparato a leggere e scrivere.
La prima acquisizione linguistica è stata l’Urdu, lingua del suo compagno di comunità…
Ramat è da solo sul palco, si muove atleticamente tra oggetti scenici e alcune proiezioni d’immagini del suo paese, che lo sostengono nel racconto.
Il palleggio tra il vissuto – legato ai ricordi della sua famiglia, alla bellezza del suo paese, alla sua fidanzata – e il vivere l’esperienza dell’oggi, è percepibile sensibilmente nella forzatura a crescere nel corpo e nelle emozioni di un adolescente, fino alla coscienza dell’essere diventato uomo.
In questo frangente scottante in cui l’Exit dall’Europa è il tema pulsante dei nostri giorni, il racconto di Ramat è un ottimo calmante naturale, da un lato perché comunque l’Europa è un punto di arrivo, una grande chioccia che accudisce. E lo accoglie.
Il fatto poi, che per Ramat prima della sua partenza l’Europa non esistesse nella sua carta geografica mentale e culturale, è un altro discorso…forse uno dei tanti drammatici noccioli della questione.
Molto interessante come la scrittura a 4 mani di Ramat Safi + Laura Sicignano sia espressione chiara e immediata di un innesto tra due culture diverse, una vera e propria vicendevole contaminazione.
Ramat conduce il racconto di se, in modo assolutamente esemplare, per uso della retorica italiana e per interpretazione ma soprattutto emerge la totale assenza di intellettualizzazione del testo teatrale, un valore che concede spazio a una prosa densa di radici proprie, delicatissime.
Il ritmo interpretativo per esempio è lineare, si muove con consapevolezza tra il desiderio di trasmettere la propria storia in modo chiaro, semplice, e l’ambizione di fare bene il proprio mestiere, essere Attore sul palco.
Il desiderio di affermare la propria identità è fortissimo e come dice Ramat a fine spettacolo, quando qualcuno gli porge qualche domanda, …”nella speranza che possa essere di aiuto…”
La capacità colta di Laura Sicignano, è in una regia consapevole di lasciare questo spazio a Ramat Safi, contenendolo in spazi geometrici scenici e di tempo, ove poter scansionare la storia per renderla originale e creativa.
Il teatro anche terapeutico? Forse, ma senza fronzoli ne titoli altisonanti.
Questo sì che un bell’esempio concreto di cosa significhi fare integrazione e l’elegante sorriso di Ramat ne è la firma.